una modesta proposta 2

di maia, 28 Maggio 2007

Da qualche tempo sul satellite va in onda una nuova serie ospedaliera che prende spunto dal dr. House. A quanto pare le somiglianze con l’originale sono tantissime, nel modo di costruire le puntate e nella caratterizzazione dei personaggi.

Chi l’ha visto giura che se non fosse per l’ambientazione, spostata in un reparto di neurochirurgia, e per il protagonista, Stanley Tucci, che è completamente rasato, i due serial sarebbero praticamente identici.
Premesso che io adoro Tucci e che vederlo ridotto a fare la brutta copia mi rattrista molto, la cosa che mi ha più colpito della serie è il titolo. "3 libbre". Che sarebbe il peso di un cervello umano.
Ora, io non ho la minima idea di quanti chili corrispondono a tre libbre, però so per certo una cosa: il cervello umano è in larga parte inutilizzato. Di questo sono sicura, l’ho visto alla Macchina del tempo (o l’ho letto in qualche numero di Focus?). Dunque, noi ci portiamo in corpo ben tre libbre di roba, per larga parte inutile.
E allora perché non sfruttare la cosa?
Voglio dire, ci avviciniamo all’estate, la prova costume è alle porte. Milioni, ma che dico, miliardi di donne sono già in piena crisi e stanno spendendo stipendi interi in creme, pasticche, lozioni, beveraggi, massaggi, palestre, piscine, macchinari infernali, il tutto per, ad andar bene, perdere temporaneamente due-tre etti di peso, che poi riacquisteranno, decuplicati, in pochi secondi.
Perché, invece di spendere tutti quei soldi in palliativi, non spenderli per un intervento risolutivo? Perché non liberarsi di quella massa in eccesso?
In fondo non stiamo parlando di liquidi o grassi, che hanno la pessima abitudine di riformarsi. Qui si parla di materia che, una volta estratta, non si riformerà mai più!

Per non parlare dei benefici effetti collaterali che una cura del genere procurerebbe.
Oltre a far calare nettamente la massa corporea, infatti, si libererebbe un sacco di spazio nella scatola cranica, cosa che debellerebbe definitivamente la sindrome-dobermann che molti esseri umani ha portato alla follia negli ultimi anni, come autorevolmente documentato sempre da Focus (o era la Macchina del tempo?).

In più ciascuno di noi potrebbe approfittarne per personalizzare il proprio cervello, sbarazzandosi anche delle parti sotto-utilizzate.
Così una persona amante dell’arte che odia lo sport, per dire, potrebbe farsi togliere la parte in cui risiede la funzione del tifo.
Al contrario, un accanito tifoso potrebbe chiedere di estirpare la parte che presiede al giudizio critico (e un tifoso di football americano potrebbe farsi estrarre tutto il cervello di sana pianta).

E perché non pensare più in grande? Perché non puntare addirittura ad eliminare tutti i malesseri psicologici?
Ma ci pensate? Addio alle crisi di panico, agli attacchi d’ansia, agli stati depressivi. Basterebbe individuare l’area cerebrale giusta e zac!

Mi sento male al solo pensiero delle cose che si potrebbero fare!

Un momento, leggo ora su Donna Moderna che tre libbre corrispondono più o meno ad un chilo e mezzo. In effetti è un po’ pochino per assicurare una perdita di peso significativa…

Trovato!
Basterà asportare l’area del cervello che regola i complessi.
E’ anche vero che così alle donne ne rimarrebbe ben poco, ma tanto, seriamente, notereste la differenza
?

La famiglia rompiglioni 3 – gli esordi

di maia, 25 Maggio 2007

Il motto della famiglia rompiglioni è buon sangue non mente.
Ed è proprio vero.
Chiunque nasca con sangue rompiglioni, non può che essere un perfetto rompiglioni.
Inutile sperare che la maledizione salti qualche generazione. Magari nei primi tempi, quando il nuovo rompiglioni è uno scricciolo appena nato o un dolcissimo bimbo dal sorriso seducente, ci si può anche illudere. Ma ben presto ci si deve arrendere alla dura realtà.

Prendiamo me per esempio.

Passai i primi anni di vita suscitando false speranze nei miei genitori.
Troppo piccola per andare all’asilo, mi lasciavano a casa con una sorella di mia madre, giovane e carina, che ci teneva molto alla mia formazione: appena arrivava, mi metteva in mano un giornale ed andava a discutere di non so quali problemi da grandi con un amico in camera dei miei.
Così io passavo lunghe ore nel seggiolone a giocare tranquillamente con un quotidiano, di solito la Nazione, a ridurlo in minuscole striscioline, disporle in composizioni simmetriche (avevo un precoce senso dell’ordine, peccato l’abbia altrettanto precocemente smarrito), per poi mangiarle con gusto.
Al rientro da lavoro, i miei mi ritrovavano nello stessa posizione in cui mi avevano lasciata, con una densa bavetta nero-inchiostro che mi colava dall’angolo della bocca ed un’espressione sazia e soddisfatta, come doveva averla Jorge mentre si mangiava Aristotele.
Mia zia, invece, la trovavano sempre un po’ scarmigliata e ansimante, come se avesse appena finito di correre. Quanto al suo amico, temo non siano mai riusciti ad incontrarlo.
Quando cominciai a rendermi conto che mangiare bistecche al sangue era molto più gustoso di quanto non fosse mangiare giornali, oltretutto di pessima qualità, decisi di utilizzare quei fogli in altro modo. E imparai a leggere. Quando cominciai anche a capire cosa stavo leggendo, decisi che da adulta non avrei mai comprato la Nazione.
Insomma, a tre anni ero il sogno di ogni genitore: silenziosa, tranquilla e letterata.

Fu all’asilo che cominciai a rivelare i primi sintomi.
In quella bolgia di mostriciattoli urlanti non potevo dedicarmi ai miei giochi silenziosi, anche perché le suore pretendevano di farmi socializzare con gli altri bambini. Volevano farmi giocare a tutti i costi al gioco della sedia. Quando, dopo mesi di studio, ne compresi il meccanismo (ero già allora una bimba molto analitica), decisi di buttarmi nella mischia. Così presi a picchiare ferocemente i più piccoli perché mi cedessero spontaneamente il loro posto. In fondo, perché affannarsi, quando potevo starmene comodamente ad aspettare che mi facessero sedere gli altri? Dopo una settimana il gioco fu abolito. Ero la più grossa e riuscivo facilmente a ridurre alla ragione anche i compagni più riottosi. Finiva che tutti rimanevano in piedi a rispettosa distanza, anche dopo che mi ero seduta.

Delle elementari ho ricordi poco significativi, tranne una lezione di educazione sessuale, che merita un capitolo a parte, ed il fatto che il compagno di classe di cui ero perdutamente innamorata faceva il filo alla biondina del primo banco. Da allora decisi di odiarla.
Divenne la mia migliore amica.
E presi una decisione che cambiò la mia vita: se proprio non piacevo al mio amore, allora non valeva la pena di piacere a nessuno! Fu così che intrapresi la carriera di prima della classe.
Nei restanti anni delle elementari ed in quelli delle medie, mi esercitai a fare la secchiona in maniera sempre più rigorosa.
Ogni giorno arrivavo a scuola conoscendo alla perfezione fino a sei capitoli in più rispetto a quelli assegnati. Alzavo sempre la mano, suggerivo ostentatamente quando venivano interrogati gli altri.

Al liceo la mia popolarità subì un’ impennata imprevista. Fra i miei compagni cominciò a girare la canzoncina “viva viva la rompiglione, la più amata delle secchione!”. Ma io non mi lasciai lusingare, conoscevo bene il motivo di tanto improvviso amore. Il compito di latino. Volevano che li aiutassi nelle versioni. E decisi di accontentarli.
Però feci pagar cara la mia condiscendenza. Passavo le versioni, è vero, ma le passavo tradotte in inglese.
Così la mia classe era l’unica in tutto l’istituto in cui, ad ogni compito di latino, gli studenti si presentavano col vocabolario d’inglese…

Ma non pensate male, non ero cattiva, ero solo… rompiglioni.
A parziale giustificazione del mio comportamento, devo dire che in quegli anni si infransero i due più grandi sogni della mia vita: fare la suora missionaria in Amazzonia e la cantante lirica nel resto del mondo. A cancellare il primo ci pensò il mio senso di sdegno verso l’eccessivo lassismo della Chiesa. Voglio dire, trovavo inammissibile che si consentisse ai bimbi di piangere durante le funzioni ed alle vecchine di fare le gare di velocità nel recitare il rosario. E, diciamocelo, tutte quelle gonne corte al ginocchio davanti all’altare…
Il secondo invece sbiadì da sé quando mi resi conto che aver imparato a suonare il piffero alle medie non mi qualificava come esperta musicale e che cantare a squarciagola le arie della regina della notte in una lingua ignota (che certo non era tedesco, visto che di quell’idioma conosco solo la parola “essen”) non faceva di me una cantante.
Quando poi i miei mi proibirono di cantare, pena l’espulsione perenne da casa, qualunque cosa, foss’anche l’inno della fiorentina, dovetti prendere atto del fatto che la voce non è la mia dote migliore.

E l’amore non è che andasse meglio.
La prima vera cotta la provai per il bello della spiaggia.
Era il ragazzo più conteso del paese in cui trascorrevo le vacanze.
Mi trovavo nella inusuale situazione in cui la padronanza del latino e dell’inglese non servivano a niente. In quel campo occorrevano ben altre doti. Delle quali ero totalmente sprovvista.
Con gli esponenti del sesso opposto non sapevo proprio come comportarmi.
Mancandomi quelle armi tattiche, prettamente femminili, che occorrevano per sbaragliare la concorrenza, decisi di invitare la biondina del primo banco perché mi mostrasse come fare. Lei ha sempre riscosso un enorme successo con gli uomini. La ospitai a casa mia. Sin dal primo giorno si mise all’opera e mi fece vedere come dovevo comportarmi con lui. Non ebbi il minimo dubbio sulla bontà dell’idea, finché non li vidi avvinghiati sulla spiaggia con tre metri di lingua in bocca.
Mi spezzarono il cuore.
Decisi di vendicarmi.
Feci loro da testimone di nozze.
(continua…)

l’anno della maturità

di maia, 23 Maggio 2007

“E tu dov’eri, cosa stavi facendo?” è la domanda che ti fanno più o meno tutti. Che imbarazzo dover rispondere “veramente non lo ricordo”.
Imbarazzo misto a senso di colpa. Perché io di quel 23 maggio del 1992 non ricordo nulla. Non ricordo dov’ero, cosa stavo facendo, con chi.
Era l’anno della maturità. Tutto vissuto in un’altalena di angoscia e sospensione nell’incoscienza, credo per salvare quel poco di nervi rimasti.
Una cosa però la ricordo benissimo. Ricordo la mia reazione alla notizia.
Una reazione della quale mi vergogno.
Pensai: “Beh, era questione di tempo”.
Poi altre emozioni prevalsero: sconforto, rabbia, frustrazione.

La traccia sull’attualità quell’anno riguardava la conferenza mondiale su ambiente e sviluppo che si era tenuta a Rio de Janeiro i primi di giugno.
I giornali e le televisioni ne parlavano come di un evento storico che avrebbe rivoluzionato in meglio la vita di tutti, risolto definitivamente i problemi di surriscaldamento globale e di inquinamento.

Feci quel tema, pensando ad altro.
Ne venne fuori un’amara dichiarazione di disillusione.
Il presidente di commissione agli orali mi disse, mentre ancora mi stavo sedendo: “signorina, il suo tema ci ha lasciati sbigottiti. Qui si parla di qualcosa di unico, di innovativo. Non può già partire con l’idea che resterà tutto come prima, che è tutto inutile. Non è troppo giovane per essere così cinica?”.

Ricordo esattamente dov’ero il 19 luglio 1992.
Ero a Capraia, a casa di un’amica, a festeggiare la maturità raggiunta.
Un posto da favola, un piccolo paradiso.
La mamma della mia amica entrò in cucina ansante: “Lo hanno rifatto. Hanno ucciso Borsellino!”.

Di quella volta invece ricordo tutto.
I colori della casa, quasi accecante nel suo bianco perfetto. I colori delle imposte, azzurre come il cielo terso di quei giorni. La tovaglia colorata sulla tavola. La faccia di quella donna, sinceramente sconvolta.

Quella volta ho pianto.

Guardavamo ai telegiornali la gente in strada manifestare la propria rabbia. La padrona di casa era raggiante. “Qualcosa sta cambiando, finalmente!” diceva. Io mi sentivo in colpa. Mi chiedevo solo “quanto durerà?”.

Nel 1992 non diventai solo matura. Quell’anno diventai vecchia.

(crosspostato su cabaret bisanzio)

dal parrucchiere

di maia, 18 Maggio 2007

– maia! finalmente ti sei decisa a venire! certo che ce n’era proprio bisogno… allora, che ci facciamo?

– oh, beh, a me basta che non sia un caschetto…

– guarda, qui ci sono tutti i tagli che vanno ora.

– uh, carino questo. che dici, mi starebbe bene?

– no, troppo sfilato, hai la faccia troppo tonda per questo.

– ehm…
e questo? un bel taglio corto, per cambiare…

– scherzi? quello ti mette in risalto il nasone! no, no e poi no!

– …
va bene…
e… e questo?

– ommioddionooooo! con questo la tua testa sembrerebbe ancora più piccola di quello che è!

– …
senti, fai tu, io mi fido.

– allora? che te ne pare?

– beh… è un caschetto perfetto.

– grazie cara. in fondo noi siamo qui per far sentire belle le nostre clienti!

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falsi amici 3

di maia, 16 Maggio 2007

– dio, ma quanto ci mettono?

– stai tranquilla mamma, vedrai che andrà tutto bene…

– ma sono chiusi là dentro da ore! e non ci dicono niente!

– signora rompiglione?

– sì! sono io!

– signora rompiglione… mi spiace…

– no!

– signora, mi spiace molto, ma le assicuro…

– no! no! non lo dica!

– signora, le assicuro che abbiamo fatto tutto il possibile…

– no! oddio, no! non voglio sentire!

– signora, la prego, non faccia così… in fondo ormai era davvero vecchio… aveva fatto il suo tempo… e poi, insomma, diciamocelo, anche a livello di prestazioni, si sarà accorta, non era più quello di una volta…

– no! lei non capisce! tutti quei bei momenti passati insieme… anche ieri sera… maia, diglielo… eravamo tutti insieme, felici, a guardare la partita… ed ora… ora non c’è più!
io non posso vivere senza di lui!

– su signora, non faccia così…
nella stanza a fianco ne vendiamo di nuovi. con lo schermo ultrapiatto, al plasma, con altoparlanti…

la mia giornata

di maia, 15 Maggio 2007

voi ci credete ai segni del destino?
Vi è mai capitato di incocciare in una giornata in cui si susseguono tanti piccoli fenomeni strani?
Beh, questa per me è una di quelle giornate.

Come al solito stamattina mi sono buttata di sotto dal letto, ma stranamente non ho trovato nessun tacco di scarpa a conficcarmisi nel costato.
Come al solito ho ciabattato poco convinta verso il bagno ma l’ho trovato incredibilmente vuoto.
Come al solito mi son truccata ad occhi ancora chiusi, ma il rigo nero della matita ha disegnato il contorno occhi senza sbavature.
Come al solito ho perso il mio autobus, ma ne è comparso un’altro subito dietro.
A questo non potevo proprio credere!
Questo è il mio giorno, mi son detta! Ma le sorprese non erano finite.

L’autobus sul quale ero salita viaggiava ad una velocità sinceramente preoccupante: c’era il rischio che addirittura i pedoni ci superassero!
Stufa di bofonchiare con compagni di sventura troppo bonari, mi sono avvicinata alla cabina dell’autista, intorno alla quale si erano raccolti i passeggeri più anziani ed agguerriti.
E lì ho assistito ad una scena che mi ha lasciata perplessa e mi ha irritata molto. Non c’è niente di più irritante del vedersi togliere da sotto le mani un buono spunto di litigio.
E’ che l’autista mi faceva pena.
Teneva uno di quei quadernetti delle elementari, sapete, quelli con una riga grossa ed una piccolina, appoggiato aperto sul volante e lo scrutava freneticamente mentre guidava. A quel punto mi sono commossa. Chiaramente era un papà che leggeva preoccupato il tema del figlioletto. Con grande difficoltà, suppongo, perché la calligrafia era decisamente illeggibile e disordinata. Pover’uomo, aveva un figlio che scriveva malissimo e, a quanto pare, cose terribili. Lo si capiva dall’espressione tesa e dagli occhi lucidi del padre.
Partecipe, mi sono avvicinata ulteriormente, provando a leggere qualche parola del temino. Sono riuscita a decifrare solo "destra" e sinistra". Santo cielo! Il bimbo aveva fatto un tema di politica!
Adesso capivo perfettamente il disagio di quel pover’uomo. Un figlio così giovane già caduto nel pericoloso gorgo delle ideologie!
 
All’improvviso si gira e mi guarda. Io, imbarazzata, distolgo lo sguardo con espressione indifferente.
Lui si mette a battere le nocche contro il vetro per richiamare la mia attenzione.
"Signorina. Signorina, scusi"
Io indosso la mia migliore faccia di bronzo e rispondo: "Dice a me?"
"Si, scusi, mi potrebbe indicare dove devo svoltare dopo piazza della Libertà? Scusi sa, ma sono nuovo e non ricordo bene. E dagli appunti che ho qui non ci capisco niente"

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ho trovato!

di maia, 14 Maggio 2007

il mio punto 5 è giocare con il mio template.
cambiargli i colori, gli spazi, l’immagine di testa… insomma, in una parola, i connotati.

ora non mi resta che trovare il mio punto G!

ps e voi, maledetti font, prima o poi riuscirò a domarvi!

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