riceviamo e volentieri pubblichiamo…
ancora un comunicato stampa del Maggio Musicale Fiorentino.
Che da quando ha affidato la propria immagine ad una “nota agenzia pubblicitaria” ne produce di scoppiettanti a getto continuo.
Già l’annuncio che “La novità quest’anno è costituita dagli incontri “Al Caffè del Maggio” che si terranno nel Bar di Platea del Teatro Comunale in coincidenza con alcuni spettacoli. Durante il racconto delle opere o le presentazioni di libri sarà possibile consumare ai tavoli bevande e snacks, trascorrendo così piacevolmente gli istanti che precedono l’alzarsi del sipario. (…) l’ingresso è libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. In occasione di tutti gli incontri sarà aperto il Bookshop del Teatro con un vasto assortimento di CD, DVD e libri nonché l’intera serie di gadgets firmati in esclusiva da Marco Lodola per il Maggio.” ha fatto epoca.
Il teatro Comunale fiorentino è sempre stato paludatissimo e il tocco di modernità dato dal negozio di dischi e dvd e libri, ma soprattutto di graziosissimi gadget firmati in esclusiva, non è stato subito compreso. Anzi, ai più ha fatto temere che si stesse trasformando un mitico luogo di cultura in una specie di grande magazzino. Anche se la possibilità di consumare snacks e drinks trascorrendo piacevolmente gli attimi che precedono l’alzarsi del sipario, facendo finta di ascoltare pallosissime presentazioni, ha introdotto una nota intellettuale e allegra, mondana e chic che non può lasciare indifferenti.
Poi l’ultimo comunicato.
“MAGGIO & MODA: IN OCCASIONE DI CONTROMODA, AL TEATRO DEL MAGGIO “SFILANO” JEAN PAUL GAULTIER, KARL LAGERFELD E CESARE FABBRI.
Firenze – JEAN PAUL GAULTIER, KARL LAGERFELD e CESARE FABBRI “sfilano” nel Foyer del Teatro Comunale di Firenze.
(…)
Nella mostra organizzata al Teatro Comunale di Firenze in contemporanea a ControModa saranno esposti i costumi e i disegni realizzati da questi acclamati stilisti, con una sapienza che raramente si riscontra nel fare teatrale contemporaneo.
(…)
In Pinocchio, complice Karole Armitage, Jean Paul Gaultier confeziona, su tessuti e cromie contrastanti, un guardaroba dalla sfrenata e incontenibile fantasia inventiva e provocatoria. A questi si accostano i disegni quasi “classici” di Cesare Fabbri per Giulietta e Romeo, abiti dal taglio contemporaneo anni Settanta rifiniti con lavorazioni ad intaglio di tulle di seta, con motivi a strass e cinture e jeans sfrangiati con cotoni e pelli dalle tonalità sfumate o monocrome, che il pubblico potrà ammirare nel Foyer di platea fino a gennaio.”
Ecco, dopo aver letto queste righe, colma di ammirata meraviglia, mi son detta: finalmente!
Finalmente la conversione si è compiuta, finalmente il Maggio si stra trasformando in una piccola Scala!
Presto, molto presto, avremo anche noi impellicciatissime signore in lungo. E i fotografi di Chi. E le telecamere di Verissimo.
Finalmente il teatro verrà usato per la vera funzione per la quale era stato creato!
ps a proposito di musica, non posso non citare queste righe, tratte da Repubblica del 10 ottobre scorso, la cui aulicità, il tono sommesso e partecipe, non possono non colpire e gommuovere sino alle lagrime…
“La musica classica è sempre stata una sua passione. Ma per anni ha avuto un grande rimpianto: quello di non aver portato a termine gli studi di pianoforte iniziati in gioventù. (…) Erano le 18 quando il candidato dai capelli grigi si è presentato alla sessione di esame insieme a “colleghi” ventenni che potrebbero essere suoi nipoti. Nessuno sconto per lui, il programma che ha presentato, degno del miglior Pollini (! ndr) è durato ben due ore.
(…)
ha trascorso l’estate nella sua casa in Liguria, studiando per tre o quattro ore al giorno e, anche al rientro a Milano, ha dimostrato volontà di ferro, alzandosi tutte le mattine un’ora prima del solito per lavorare alle partiture. Solo qualche piccolo problema dovuto all’età: le mani non hanno l’elasticità di una volta, e lo sforzo prolungato gli procurava qualche fastidio alle articolazioni.”
Dite la verità, non siete gommossi voi pure?
Ah, dimenticavo, lui era Fedele Confalonieri.
sì, viaggiare…
metti che sei lì, nel bus, sovraffollato, come al solito.
metti che c’è talmente tanta gente che non riesci a trovare nemmeno un centimetro di palo a cui reggerti. poco male, tanto i passeggeri sono così stipati che non c’è verso di cadere.
non c’è verso nemmeno di respirare, a dire il vero.
scendere poi è impossibile. dopo un po’ l’autista, memore della povera signora rimasta spiaccicata sui vetri durante l’ultimo tentativo, nemmeno cerca di aprire più le porte. passati i primi mugugni, nessun passeggero protesta più. son tutti rassegnati a vivere incastrati fra i gomiti e le ginocchia (e l’alito pesante) dei propri vicini.
accanto a me, per esempio, c’è una che ha incontestabilmente mangiato dell’aglio. che c’entra, anche a me piace, ma santo cielo, alle otto di mattina?
comunque, dicevo. metti che sei (al solito) terribilmente in ritardo e che dall’altro lato rispetto alla signora dell’aglio ti ritrovi uno che ha decisamente bisogno di una doccia.
metti che a poca distanza c’è un tizio, chiaramente un neofita da bus, che si ostina a lamentarsi del traffico e della guida dell’autista e delle persone che gli pestano i piedi e delle tasse e piove governo ladro.
metti che ti stai innervosendo un poco e, con manovre da vero contorsionista, riesci a tirar fuori il cellulare (di provare a leggere non se ne parla, lo spazio minimo indispensabile per reggere un libro in queste condizioni non esiste. senza contare che l’atto della lettura sembra contrariare gli altri passeggeri. ogni volta ti guardano come pensassero: ma guarda questo… siamo imbottigliati nel traffico, sono in ritardo, sono in piedi, sono pestato e sballottato, ho un mare di tasse da pagare e piove, governo ladro, e tu leggi?).
almeno puoi mandare messaggini idioti agli amici. così, per ammazzare il tempo. o per rompere i coglioni a quelli che possono permettersi di dormire alle otto di mattina.
metti che, con grande sforzo, riesci a tendere il braccio telefonomunito in alto e, novello superman, la testa reclinata all’indietro, gli occhi ridotti a fessure nello sforzo di vedere lo schermo, inizi a digitare sms alla velocità della luce.
ecco, in quel momento ti accorgi che l’immancabile vecchina sta leggendo tutto quello che scrivi.
provi a spostare il cellulare per impedirle la visuale.
ma quella, imperterrita, muove il vetusto capo e continua a sbirciare.
diamine, non stai scrivendo nulla di compromettente, ma la cosa ti fa imbelvire.
brutta vecchia irrancidita, scommetto che fai tante storie per la cataratta che non ti dà tregua e poi leggi benissimo su un minischermo in movimento lettere minuscole che anche io distinguo con difficoltà!
ma che ti ridi?
e va bene, l’hai voluto tu!
e allora ti metti a scrivere e inviare oscenità che nemmeno hai mai immaginato di conoscere.
robe che nemmeno cicciolina e moana pozzi messe insieme…
la vecchina, finalmente, distoglie lo sguardo.
e tu, in quel preciso istante ti rendi conto che i messaggi li stavi inviando a tua madre…
piccolo grande uomo
Maiaaaaaaaaaa!
Ecco, ci risiamo…
Che poi io mi chiedo come una voce così imperiosa possa fuoriuscire da un esserino simile. Più largo che alto, sembra una pallina con le bretelle.
Mi avvio rassegnata verso la sua stanza.
Lo sento ribollire come una caffettiera tenuta troppo a lungo sul fuoco. So perfettamente cosa mi aspetta e quasi quasi rimpiango biagio antonacci che si lamenta dalla radio della mia stanza.
Busso alla Porta.
Avanti!
Respiro, entro.
Evita il mio sguardo, ribolle più forte. Sono ipnotizzata dal marrone innaturale del volto che cozza col candore immacolato della camicia.
Siediti!
Questo è davvero grave. Lui, il Grande Piccolo Capo, fa in modo di non trovarsi mai allo stesso livello delle proprie dipendenti. Quanti deliziosi balli di gruppo nelle riunioni di studio! Capo seduto – tutti in piedi! Capo in piedi – tutti seduti!
Ma adesso, annegato nell’enorme poltrona di pelle nera che lo fa sembrare ancora più piccolo, è troppo preso dal discorso che sta per farmi per pensare alla propria bassezza.
Certi uomini hanno l’altezza che si meritano, penso. È come se la natura si adeguasse alla statura morale.
PGC: Maia, ho aspettato che finissi le scadenze per parlarti. Ti ho visto in questi giorni rimanere fino a tardi in ufficio. E mi son chiesto il perché.
Maia: Per lavorare?
PGC: Per lavorare… certo. È vero, hai molte ditte da gestire… è vero, è un periodo duro settembre… però tutte queste ore…
Vedi, io più che vostro datore di lavoro, mi sento come vostro padre. Mi preoccupo per voi. Non voglio che rimaniate così tanto tempo chiuse in ufficio. Non va bene per voi, che vi fate scorrere fra le dita attimi importanti della vostra vita, attimi che non ritorneranno, attimi che una volta passati, saranno persi per sempre. E non va bene per me, che mi sento in colpa a sapervi ancora a lavoro mentre io sto cenando.
E da padre vi dico: c’è un tempo per lavorare ed uno per vivere!
Lavorare per vivere, non vivere per lavorare!
E poi, in fondo, se uno ha bisogno di rimanere oltre l’orario, vuol dire che non ha lavorato bene durante la giornata!
Maia: ha ragione capo, sono mortificata. Sa una cosa? Lei non me li paghi!
PGC: molto bene, molto bene. A proposito, ti ho assegnato sei nuovi fascicoli.
Domani mattina alle otto li voglio sulla mia scrivania.
september morn (è tempo di migrare *)
Settembre è un mese strano. Che ho sempre amato, per i colori, il clima, il senso di dolce malinconia… E sempre odiato, perché rappresenta il ritorno alla routine.
Il ritorno a scuola. O al lavoro.
Ma da qualche anno è diventato un vero è proprio incubo.
Settembre è, infatti, il mese dei modelli viventi. No, non i modelli belli, tipo quelli di armario, sauronel, edo saint antoine o fEndi, e nemmeno quelli che son diventati commessi dalla apple…
No, parlo dei terrorifici MODELLI 770.
Lo so, voi pensate che esageri. Ma lasciate che vi spieghi. Avete presente spiderman II in cui lo scienziato buono stava inventando una cosa buona per il bene dell’umanità (buona)? E poi questa cosa gli è sfuggita di mano e non solo è diventata cattiva, ma ha fatto diventare cattivo lui pure?
Bene, è la stessissima cosa.
Un giorno un ragioniere pazzo ha inventato una dichiarazione che serve per verificare se i datori di lavoro pagano effettivamente allo stato le tasse che trattengono in busta paga ai loro dipendenti. Per evitare il rischio che se le tengano loro e ci facciano, che so, crociere con la moglie o ci comprino macchine nuove per i figli…
Bene, all’improvviso questa cosa ha preso vita propria, è cresciuta, si è riprodotta e, da poche pagine che era, è diventata un librone mastodontico, pieno di complicatissimi richiami, istruzioni incomprensibili e veri e propri tranelli tesi ai danni del povero compilatore. Il quale, per un mese all’anno, viene completamente risucchiato, fagocitato, masticato, digerito e poi sputato fuori in condizioni pietose.
È come se ogni anno perdesse un intero mese di vita. Di quello che gli accade intorno non sa niente, non vede niente, non sente niente. Non sa cosa succede nel mondo, ma nemmeno quello che capita nella propria famiglia.
Questa, ad esempio, è una conversazione tipica da primo ottobre in casa rompiglioni:
sorella di maia: oh, ciao!
maia: oh, ciao! come stai? e lei chi è?
sdm: Come chi è, è mia figlia!
maia: Tua figlia? Cioè tu hai una figlia? E da quando?
sdm: Come da quando? È nata tre mesi dopo il matrimonio!
maia: Oddio… sei sposata? E quando è successo?
sdm: Il primo settembre, no?
Maia: …
ma te l’ho fatto il regalo?
Così mi son persa un sacco di belle cose, mi dicono.
Mi son persa la nascita di tre nuovi partiti. Le uscite di Mastella e Dini e di tutti quei deputati della maggioranza che votano contro la maggioranza per il bene della maggioranza. Mi son persa il Girolamo Grillo imprecante e il coro dei politici offesi. Mi son persa gli sviluppi (?) di Garlasco e qualche gossip.
Mi son persa anche delle vere notizie.
Adesso che ho un po’ di tempo devo rimediare. Riallacciare amicizie, recuperare il rapporto coi parenti, convincere la mamma che è proprio sua figlia maggiore quella che si siede a tavola a fianco a lei.
E ascoltare la mia musica preferita.
E dedicarmi al mio mac, che ho lasciato abbandonato sulla scrivania.
E rimettermi in pari con l’attualità, leggendo i giornali arretrati. Una parola per pagina.
E riprendere in mano i libri rimasti sconsolatamante abbandonati a prendere polvere.
Via, stasera mi dedicherò a Saramago, che mi occhieggia dal comodino con la sua Cecità.
* NB sia chiaro, il poeta che più odio viene qui citato solo per amicizia.
Non è che sono amica del poeta, eh. E’ che a un mio amico piace.
fumata bianca
E, finalmente, il lieto evento: habemus mac!
Lo so, qualcuno di voi storcerà il naso, altri mi hanno già abbondantemente insultata, ma più delle considerazioni prettamente tecniche ha potuto il brivido della novità.
La sola idea di dover imparare ad usare un apparecchio del cui funzionamento non so assolutamente niente mi elettrizza.
Un po’ come quando ho estratto per la prima volta il ferro da stiro dalla sua confezione.
Speriamo solo che l’innamoramento per il mac duri un po’ di più.
Certo, ora mi ritrovo fra le mani un gioiellino di tecnica ma anche di fighettaggine.
Di più, credo di aver acquistato il campione mondiale di fighettaggine.
Perché tutto nel mac è fighetto.
L’aspetto, per cominciare. Ma questo è risaputo.
Quello che fa impressione è che ogni cosa del mondo che lo circonda è fighetta.
A partire dai negozi ufficiali Apple.
Prendiamo quello in cui sono andata io.
Tutto bianco.
Pavimenti bianchi, pareti bianche, soffitto bianco, mobili bianchi.
Tutto molto asettico, come in una astronave kubrikiana.
E i commessi? Beh, è inutile dirlo, i commessi sono pallidi. Mortalmente pallidi. Però bellissimi. Direi quasi perfetti. In pratica dei modelli prestati al meraviglioso mondo dell’informatica (fighetta).Quello che mi serve ha uno sguardo sbrilluccicante, la voce profonda che mi spiega non so che di importante. Però… però c’è qualcosa che mi disturba… Ma certo, le sopracciglia! Sono lunghe, foltissime e non pettinate! Ma no, non si può, quei peli neri fuori posto rovinano tutto l’insieme! Istintivamente mi viene da allungare una mano per sistemarlo ma lui fraintende e mi spara un sorriso a tuttidenti. In un attimo, il caos. Il neon (bianco) si riflette sulla magnifica dentatura (immacolata), in un flash abbagliante rimbalza sulle vetrine di fronte, viene rispedito verso lo specchio fashion e si frantuma in mille rivoletti abbaglianti su tutti gli schermi in esposizione, che li restituiscono moltiplicati, con tremendo effetto accecante. Chiudo gli occhi, barcollo all’indietro, finisco sulle vetrinette, faccio crollare tutti gli aggeggini musicali fighetti (quelli, stranamente, coloratissimi), il colpo fa dondolare pericolosamente i mobili intorno, stracolmi di apparecchi fighettamente ipertecnologici… Una selva di urla, a dire il vero ben poco fighette, sale da ogni lato ed io non capisco più niente.
Non so esattamente come sia andata a finire, quando sono riuscita a riacquistare la vista mi trovavo già sul 14 che mi riportava a casa, con la mia bella scatola (bianca) stretta fra le braccia.
Da questa storia ho tratto ben due insegnamenti.
Il secondo è che quando avrò bisogno di assistenza converrà andare in negozio con un bel paio di occhiali da sole.
Ma il più importante è che per possedere un mac bisogna innanzi tutto meritarselo. Non è che puoi tenere un mac così! Per indossare un mac bisogna saperlo portare! Bisogna essere dotati di un certo charme, un certo aplomb, un certo savoir faire.
Per questo mi sono subito iscritta ad un corso accelerato di bon ton.
Quindi, ben vestita e ben truccata, l’ho tirato fuori dalla confezione. E l’ho rimirato tutto. Da ogni lato. Ho notato la linea morbida, la deliziosa mela (bianca) sul coperchio, tutti quei graziosi buchini sul fianco, il curioso pulsantino sul fondo che, se premuto, fa accendere un’allegra fila di lucine verdi…
Poi, visto che un’ora non mi era bastata per capire come si aprisse, l’ho elegantemente appoggiato sulla mia scrivania.
Dove fa la sua porca figura!
ps questo è anche un post di ringraziamento.
A tutti quelli che mi hanno consigliata in questi giorni. Son stati consigli totalmente discordanti l’uno dall’altro, ma ognuno ugualmente preziosissimo.
E poi devo un bacio a Edo, l’autore del coso lì, come si chiama, il disegnino che c’è lì in cima…
Ditemi voi come si farebbe senza un grafico così! E per di più è un grafico iper-mac-dotato!
e alla fine ce l’ha fatta…
Dopo quasi due settimane di duro lavoro (?), il famoso tecnico del pc mi ha restituito lo scassone. Senza quasi più niente dentro, giusto un paio di file doc. E tutti sbrindellati.
Che tristezza vedere come sono usciti dalla centrifuga della Grande Formattazione… Un incipit di post qui, una battuta fulminante là, una conversazione compromettente nel cestino… (che vergogna sapere che il tecnico ha letto tutto, ma proprio tutto, quello che pensavo dell’acquisto di Bobo Vieri…).
Va bene, in fondo ricominciare da zero è salutare.
Se solo non dovessi reinstallare tutte quelle indispensabili applicazioni inutili…
perdere l’amore
È andato.
In un tranquillo sabato pomeriggio.
Io l’avevo lasciato solo a lavorare, nello studiolo. Quando sono tornata, se ne era andato.
Senza preavviso. Senza una parola.
Dopo anni di convivenza, non sempre facili a dire il vero, mi aspettavo almeno un po’ di considerazione. Insomma, di problemi ne abbiamo avuti anche noi, ma li abbiamo sempre superati, insieme. E invece tutto quello che trovo è un semplice messaggio, cinque parole appena, sul monitor.
No! Non puoi farlo! Non puoi lasciarmi così! Senza spiegazioni! E i nostri progetti? I nostri programmi? Che ne sarà di loro?
Se ho sbagliato… se ho sbagliato qualcosa, dimmelo e cercherò di rimediare! Non ripeterò più l’errore! Ma torna, ti prego…
Ho pianto. Tanto. Ho provato a carezzarlo, suadente. A vezzeggiarlo. Ho perso la testa. Ho preso a scuoterlo. A percuoterlo. Ho provato a riavviarlo, ma quell’unico messaggio, contundente nella sua durezza, tornava beffardo ogni volta sullo schermo nero: “impossibile avviare il sistema operativo”.
E allora mi sono arresa.
Chi ama veramente sa quando lasciare la presa.
Ora è da un altro, che sa come trattarlo.
E io non lo rivedrò più.
Almeno fino a sabato.
insomma, tutto questo per dirvi che il blog è momentaneamente fuori uso per problemi tecnici.
Ma tornerò. Ah, se tornerò!