Cena di società

di maia, 17 Luglio 2009

Così anche quest’anno ci siamo. Puntuale come un condono tremontiano, è arrivato il momento della famigerata Cena Aziendale.
La volta scorsa non avevo partecipato all’evento per problemi personali (ora non ricordo più se per via delle papille gustative interrotte o il gomito che faceva contatto con il piede, ndr), ma più o meno so già cosa mi aspetta.
Oltre alla solita allegria sincera e spontanea che si può riscontrare in ogni festa aziendale, in questa, a differenza di quelle che si facevano dove lavoravo prima, c’è qualcosa di più.

Non si tratta solo più di mangiare e bere1. Qui si gioca pesante.

La serata comincia alle sei e mezzo, nella sala conferenze dell’albergo/villa medicea scelta per l’occasione. Tutti i dipendenti si accalcano nelle ultime file. Alcuni sembrano giocare allegramente a sbarbacipolla, ma, ad un’analisi più attenta si vede benissimo che sono gli ultimi arrivati che, pur di non finire seduti nelle prime file, cercano di togliere il posto con la violenza e l’inganno a chi è stato più previdente di loro ed ha saltato il cocktail di benvenuto pur di piazzarsi in posizione strategica.
Il Capo, microfono alla mano, comincia a richiamare a gran voce i più violenti e li fa accomodare in prima fila.
Una volta ristabilito l’ordine, comincia lo show.
Si parte coi ringraziamenti per essere venuti e, subito, un paio di battute esilaranti2.
Tutti ridono.
Proprio tutti. Anche i nuovi arrivati.
Il merito è dei più “anziani”3 che con un elaborato sistema misto di gomitate ben piantate nei fianchi e pulcisecche nelle cosce, fan capire ai neofiti quand’è il momento giusto per ridere e quale quello per apparire seriamente interessati al discorso4.
Una volta terminata la slide coi grafici sui risultati economici dell’anno, parte un filmato sui successi commerciali dell’azienda. Il Capo, sorridente, stringe la mano al presidente della Polonia, bacia il sottosegretario agli esteri rumeno, brinda con qualche magnate di Casalpusterlengo. Le immagini vengono alternate a quelle di folle oceaniche plaudenti. In sottofondo parte una musichina sempre più invadente. Sale di tono, compaiono delle scritte sullo schermo a mò di karaoke. I dipendenti si alzano come un sol uomo (comprese le due che si erano opportunamente nascoste dietro le sedie di quelli davanti per mangiarsi in santa pace un panino al prosciutto) e iniziano a cantare Menomale che il Capo c’è!
Il Capo, commosso da tanto affetto, estrae con mossa plateale ma elegante, da vero attore consumato, una serie di oggettini da un pacco. Sono sue foto autografate, stampate su rara pergamena, deliziosi regalini con cui omaggia i propri dipendenti.
Tutti ridono felici, baci, abbracci, champagne. Fine spettacolo.
Finalmente si cena.

  1. in occasioni del genere, si sa, quando devi passare intere ore in ambiente seminformale col tuo capo, col quale chiaramente non sai di che cosa parlare se non ci sono argomenti lavorativi di mezzo, l’unica è riempirsi continuamente la bocca di cibo e vino, mantenendo un sorriso ebete per tutto il tempo []
  2. metti un microfono in mano a un Capo e questi, indipendentemente da età, attitudini e carattere, comincerà a gigioneggiare impunemente, sentendosi improvvisamente un ibrido fra Bisio e Padoa Schioppa. Spiritoso come il primo e autorevole come il secondo. Pensa lui []
  3. si riconoscono perché son quelli che durante il discorso del Capo hanno gli auricolari dell’ipod nelle orecchie, ma sanno ugualmente il punto esatto in cui inserire la risata. Anni e anni di riunioni simili li hanno ormai addestrati a riconoscere alla perfezione cosa il Capo si attenda dal suo uditorio, semplicemente analizzandone la mimica []
  4. A qualche nuovo arrivato un po’ più lento nel comprendere la segnaletica può capitare di invertirne il significato e di mettersi a ridere sguaiatamente mentre il Capo sta illustrando come gli utili siano drammaticamente dimezzati nel corso dell’ultimo semestre. Poco male. In questi casi parte immediatamente una lettera di richiamo, del genere Lei avrà cinque giorni di tempo per fornire una giustificazione scritta, altrimenti verrà adibito a funzioni di magazzinaggio, nonché pulizia dei cessi []

La Famiglia Rompiglioni – canta che ti passa

di maia, 15 Luglio 2009

Ci sono cose che hanno il potere di riportarti violentemente indietro nel tempo.
Chessò, un giorno magari senti un odore, un odore particolare. Un odore che non ti può lasciare indifferente. Lì per lì non riesci bene a identificarlo. L’unica cosa che sai è che invece che nei bagni della stazione, ti sembra di essere tornata nella casa al mare in cui passavi le vacanze da bambina. Poi, d’improvviso ti rendi conto. E’ proprio lui, è l’inconfondibile odore dell’armadio in cui la nonna metteva la biancheria pulita! Che dolce quell’odore. E che bello era nascondersi in quell’armadio!
Oppure ti stai strafogando di patatine e chickencosi, lì, e in bocca senti un sapore vagamente familiare. Un sapore che ti fa stranamente pensare alla casa al mare in cui passavi le vacanze da bambina. Poi all’improvviso lo riconosci. Ma certo, è il sapore delle famose melanzane fritte al cioccolato con canditi della nonna! Che dolci le melanzane fritte al cioccolato con canditi. E che bello nasconderle nell’armadio della biancheria pulita!

Così ogni volta che sento una canzone napoletana, ovunque mi trovi, qualunque cosa stia facendo, la mente mi torna a precipizio nella casa al mare in cui passavo le vacanze da piccola.
Solo che in questo caso i ricordi son tutt’altro che dolci.

Succedeva, in quella casa al mare in cui passavo le vacanze da bambina, che quando mia zia Cloris, una delle famigerate Tre Zie Zitelle, cantava Reginella, voleva dire che era in arrivo il temporale.
No, non mi riferisco al temporale inteso come fenomeno atmosferico. Che mia zia, per quanto portatissima in altri campi della stregoneria, con le previsioni del tempo non ci ha mai azzeccato.
Ecco, Reginella era il segno inequivocabile che mia zia si era inquietata.
Bastavano le prime note per far rabbrividire tutti gli abitanti della casa.

Regginè, quando stiveccu mico…

e tutti cominciavano a guardare per terra, improvvisamente attratti da invisibili macchie del pavimento, dall’unghia del ditone destro, da minuscole formichine, qualunque cosa pur di non incrociare quello sguardo.
Che l’ira di mia zia Cloris è tremenda e incute un timore reverenziale, misto alla superstiziosa convinzione che qualunque essere umano che malauguratamente dovesse incocciare in quegli occhi di bragia, ne rimarrebbe immediatamente fulminato, trasformandosi immantinente in una statua di sale, per poi morire dopo atroci tormenti.

T’aggio voluto beeeeenateeeeeee…

Ecco. Bisogna trovare un nascondiglio, subito!

TTummevolutobeeeeeeneammmeeeeeeeeeeee…

Presto, la finestra, tutti giù dalla finestra! Che sotto c’è il terrazzo dell’albergo di fronte. Ormai sono abituati anche loro e già dalle prime note i camerieri han fatto nascondere tutti gli ospiti sotto i tavoli e stanno correndo a salvare le porcellane dall’inevitabile scossa tellurica in agguato dentro l’ugola della zia irosa.

Mmònonciamammecchiuuuumaivvotetuuuuuuu…

Troppo tardi! La zia è proprio davanti alla finestra, con la scopa in mano, e mi taglia ogni via di fuga! Non guardare, non guardare, non guardare… Appiattirsi contro il muro… rendersi il più piccini possibile…

Quand’ecco, dall’altro capo della stanza quello che non avresti mai, e sottolineo mai, voluto sentire.

Eccù stimmodi ooooooiBriggida….

La zia Laris!
La zia Laris è l’unica che non teme il terribile potere inceneritore della sorella. Anzi! Nell’occasione si esalta e fa l’unica cosa che riesce a far incazzare ancor di più la zia Cloris.
Cantarle sotto il naso, con strafottente faccia tosta:

tazz’ecafèparite… sottotenit’ozzuccaro encoppamarasiteeeee…

che in teoria sembrerebbe una cosa carina da dire. Il problema sono i doppi sensi…

matantcchaggiàggirà, etantcchaggiàvutaaaaaaaaà…

… e specialmente quel significato, nemmeno poi tanto nascosto, di girare e rivoltare…

ristrattamentepieeeeeeeeeeeeeensaaaaaaaaaaaaa…

A questo punto me la sto facendo letteralmente sotto. Mi giro intorno. L’unica porta che vedo è quella dell’armadio della biancheria pulita. Mi ci infilo di corsa, col mio piattino di melanzane fritte col cioccolato (e canditi).
Appena in tempo, sento arrivare l’acuto da lontano.
Il suono rimbomba sotto le volte a crociera, il suolo prende a tremare violentemente, sento la cristalleria tintinnare, impazzita.
Mi rannicchio sul fondo dell’armadio.

….aaaaammmmmmeeeeeeeeeeé!

Il mio intestino si rilassa, lasciando un ricordo indelebile sulla biancheria pulita della nonna.

Cambiamenti

di maia, 4 Luglio 2009

Questo è un periodo un po’ così.
Pieno di cambiamenti radicali.

Un’amica ha partorito.
Un amico si è separato.
Mia sorella si è trasferita dal suo fidanzato.

Io sono andata dal parrucchiere.

Ho deciso di migliorare il mio quoziente intellettivo.
Mi son fatta coprire i colpi di sole biondo-oca con un rassicurante castano-intellettuale.
Ma ancora non funziona.
Si vede che questo colore ci mette un po’ a fare effetto.