fumata bianca

di maia, 23 Settembre 2007

E, finalmente, il lieto evento: habemus mac!


Lo so, qualcuno di voi storcerà il naso, altri mi hanno già abbondantemente insultata, ma più delle considerazioni prettamente tecniche ha potuto il brivido della novità.
La sola idea di dover imparare ad usare un apparecchio del cui funzionamento non so assolutamente niente mi elettrizza.
Un po’ come quando ho estratto per la prima volta il ferro da stiro dalla sua confezione.
Speriamo solo che l’innamoramento per il mac duri un po’ di più.

Certo, ora mi ritrovo fra le mani un gioiellino di tecnica ma anche di fighettaggine.
Di più, credo di aver acquistato il campione mondiale di fighettaggine.
Perché tutto nel mac è fighetto.
L’aspetto, per cominciare. Ma questo è risaputo.
Quello che fa impressione è che ogni cosa del mondo che lo circonda è fighetta.
A partire dai negozi ufficiali Apple.
Prendiamo quello in cui sono andata io.

Tutto bianco.
Pavimenti bianchi, pareti bianche, soffitto bianco, mobili bianchi.
Tutto molto asettico, come in una astronave kubrikiana.
E i commessi? Beh, è inutile dirlo, i commessi sono pallidi. Mortalmente pallidi. Però bellissimi. Direi quasi perfetti. In pratica dei modelli prestati al meraviglioso mondo dell’informatica (fighetta).Quello che mi serve ha uno sguardo sbrilluccicante, la voce profonda che mi spiega non so che di importante. Però… però c’è qualcosa che mi disturba… Ma certo, le sopracciglia! Sono lunghe, foltissime e non pettinate! Ma no, non si può, quei peli neri fuori posto rovinano tutto l’insieme! Istintivamente mi viene da allungare una mano per sistemarlo ma lui fraintende e mi spara un sorriso a tuttidenti. In un attimo, il caos. Il neon (bianco) si riflette sulla magnifica dentatura (immacolata), in un flash abbagliante rimbalza sulle vetrine di fronte, viene rispedito verso lo specchio fashion e si frantuma in mille rivoletti abbaglianti su tutti gli schermi in esposizione, che li restituiscono moltiplicati, con tremendo effetto accecante. Chiudo gli occhi, barcollo all’indietro, finisco sulle vetrinette, faccio crollare tutti gli aggeggini musicali fighetti (quelli, stranamente, coloratissimi), il colpo fa dondolare pericolosamente i mobili intorno, stracolmi di apparecchi fighettamente ipertecnologici… Una selva di urla, a dire il vero ben poco fighette, sale da ogni lato ed io non capisco più niente.
Non so esattamente come sia andata a finire, quando sono riuscita a riacquistare la vista mi trovavo già sul 14 che mi riportava a casa, con la mia bella scatola (bianca) stretta fra le braccia.

Da questa storia ho tratto ben due insegnamenti.

Il secondo è che quando avrò bisogno di assistenza converrà andare in negozio con un bel paio di occhiali da sole.

Ma il più importante è che per possedere un mac bisogna innanzi tutto meritarselo. Non è che puoi tenere un mac così! Per indossare un mac bisogna saperlo portare! Bisogna essere dotati di un certo charme, un certo aplomb, un certo savoir faire.
Per questo mi sono subito iscritta ad un corso accelerato di bon ton.

Quindi, ben vestita e ben truccata, l’ho tirato fuori dalla confezione. E l’ho rimirato tutto. Da ogni lato. Ho notato la linea morbida, la deliziosa mela (bianca) sul coperchio, tutti quei graziosi buchini sul fianco, il curioso pulsantino sul fondo che, se premuto, fa accendere un’allegra fila di lucine verdi…
Poi, visto che un’ora non mi era bastata per capire come si aprisse, l’ho elegantemente appoggiato sulla mia scrivania.
Dove fa la sua porca figura!

 
ps questo è anche un post di ringraziamento.
A tutti quelli che mi hanno consigliata in questi giorni. Son stati consigli totalmente discordanti l’uno dall’altro, ma ognuno ugualmente preziosissimo.

E poi devo un bacio a Edo, l’autore del coso lì, come si chiama, il disegnino che c’è lì in cima…
Ditemi voi come si farebbe senza un grafico così! E per di più è un grafico iper-mac-dotato!

e alla fine ce l’ha fatta…

di maia, 21 Settembre 2007

Dopo quasi due settimane di duro lavoro (?), il famoso tecnico del pc mi ha restituito lo scassone. Senza quasi più niente dentro, giusto un paio di file doc. E tutti sbrindellati.
Che tristezza vedere come sono usciti dalla centrifuga della Grande Formattazione… Un incipit di post qui, una battuta fulminante là, una conversazione compromettente nel cestino… (che vergogna sapere che il tecnico ha letto tutto, ma proprio tutto, quello che pensavo dell’acquisto di Bobo Vieri…).
Va bene, in fondo ricominciare da zero è salutare.
Se solo non dovessi reinstallare tutte quelle indispensabili applicazioni inutili…

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perdere l’amore

di maia, 11 Settembre 2007

È andato.
In un tranquillo sabato pomeriggio.

Io l’avevo lasciato solo a lavorare, nello studiolo. Quando sono tornata, se ne era andato.
Senza preavviso. Senza una parola.
Dopo anni di convivenza, non sempre facili a dire il vero, mi aspettavo almeno un po’ di considerazione. Insomma, di problemi ne abbiamo avuti anche noi, ma li abbiamo sempre superati, insieme. E invece tutto quello che trovo è un semplice messaggio, cinque parole appena, sul monitor.
No! Non puoi farlo! Non puoi lasciarmi così! Senza spiegazioni! E i nostri progetti? I nostri programmi? Che ne sarà di loro?
Se ho sbagliato… se ho sbagliato qualcosa, dimmelo e cercherò di rimediare! Non ripeterò più l’errore! Ma torna, ti prego…

Ho pianto. Tanto. Ho provato a carezzarlo, suadente. A vezzeggiarlo. Ho perso la testa. Ho preso a scuoterlo. A percuoterlo. Ho provato a riavviarlo, ma quell’unico messaggio, contundente nella sua durezza, tornava beffardo ogni volta sullo schermo nero: “impossibile avviare il sistema operativo”.

E allora mi sono arresa.
Chi ama veramente sa quando lasciare la presa.
Ora è da un altro, che sa come trattarlo.
E io non lo rivedrò più.
Almeno fino a sabato.

insomma, tutto questo per dirvi che il blog è momentaneamente fuori uso per problemi tecnici.
Ma tornerò. Ah, se tornerò!

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perdere l’amore

di maia, 11 Settembre 2007

È andato.
In un tranquillo sabato pomeriggio.

Io l’avevo lasciato solo a lavorare, nello studiolo. Quando sono tornata, se ne era andato.
Senza preavviso. Senza una parola.
Dopo anni di convivenza, non sempre facili a dire il vero, mi aspettavo almeno un po’ di considerazione. Insomma, di problemi ne abbiamo avuti anche noi, ma li abbiamo sempre superati, insieme. E invece tutto quello che trovo è un semplice messaggio, cinque parole appena, sul monitor.
No! Non puoi farlo! Non puoi lasciarmi così! Senza spiegazioni! E i nostri progetti? I nostri programmi? Che ne sarà di loro?
Se ho sbagliato… se ho sbagliato qualcosa, dimmelo e cercherò di rimediare! Non ripeterò più l’errore! Ma torna, ti prego…

Ho pianto. Tanto. Ho provato a carezzarlo, suadente. A vezzeggiarlo. Ho perso la testa. Ho preso a scuoterlo. A percuoterlo. Ho provato a riavviarlo, ma quell’unico messaggio, contundente nella sua durezza, tornava beffardo ogni volta sullo schermo nero: “impossibile avviare il sistema operativo”.

E allora mi sono arresa.
Chi ama veramente sa quando lasciare la presa.
Ora è da un altro, che sa come trattarlo.
E io non lo rivedrò più.
Almeno fino a sabato.

insomma, tutto questo per dirvi che il blog è momentaneamente fuori uso per problemi tecnici.
Ma tornerò. Ah, se tornerò!

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risvolti psicologici nei rapporti tra giovani uomini e giovani donne (cara ti amo)

di maia, 7 Settembre 2007

Ne stavo giusto parlando con un amico (molto in gamba, davvero, non a caso mi dà sempre ragione), di qual è il problema nei rapporti fra giovani uomini e giovani donne nel mondo d’oggi.

Magari tu sei lì, adocchi uno che non ti sembra troppo male, almeno non troppo grezzo.
Insomma, uno con un quoziente intellettivo appena superiore a quello di un uovo sodo.

Gli fai il sorriso d’ordinanza.
Risponde.
Gli fai lo sguardo d’ordinanza.
Risponde.
Ma ancora prima che lui provi l’approccio d’ordinanza, nel momento stesso in cui ti accorgi che sta per aprire bocca, ti rendi perfettamente conto, SAI che sta per dire la cosa sbagliata.

Non è giusto fare di tutta l’erba un fascio, gli uomini non sono tutti uguali. E infatti non dicono tutti la stessa cosa sbagliata, ognuno dice la sua.

C’è quello pratico (ciao! Andiamo da te, che da me ho appena ridipinto i muri).

Quello sicuro di sé (bimba, io ti farò impazzire, lo sai?).

Quello sincero (pensavo… non sei bella come mi pareva da lontano, ma che ne diresti di fare due passi insieme?).

Quello premuroso (sai, non dovresti truccarti così tanto, ché non ti dona. E cambia fard, quel colore sotto queste luci non fa un bell’effetto).

Quello filosofico (ma secondo te la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere la vita?).

E poi il timido, il simpatico, il poetico…

Ma, comunque sia, tu sai che ti dirà una cosa che te lo farà odiare per sempre. A meno che non sia bellissimo.
O molto ricco.
Meglio ancora se entrambe le cose insieme.

E allora mi chiedo, come è possibile riuscire a sbagliare così sistematicamente l’approccio?
Eppure una volta c’erano gli uomini conquistatori, ammalianti, fascinosi, quelli per cui le ragazze facevano a spillonate… dove sono adesso? Non si tratterà mica di una leggenda metropolitana?
E se c’erano, come mai non esistono più?

Secondo me è tutta colpa della società contemporanea. Questo continuo bombardamento mediatico che propone modelli vuoti, una visione distorta e utilitaristica dell’uomo e della donna…
Oddio! Ho perso il controllo, stavo parlando come un opinionista di vespa!

Provo con parole mie.
Per me si guarda troppa tv.
Sai, quei film e telefilm in cui tutto è facile e immediato. Due si incontrano. Si guardano. Si sorridono. Parte una musica suadente (magari il miglior marvin gaye) e loro, senza quasi parlare (fosse questo il trucco?), si ritrovano a letto insieme. E son fuochi d’artificio.
Poi si pensa che vada così anche nella realtà.
Quando invece, se ti va bene, di sottofondo c’hai masini…

turisti per caso

di maia, 4 Settembre 2007

Spesso mi chiedono che ci torno a fare.
A parte il fatto che per un sub questo è praticamente il paradiso in terra, io qui ci sono tornata anche per una questione di principio.

Quando sognate per anni di visitare un posto e alla fine ci riuscite e la persona con cui ci andate vi dice di non portare la macchina fotografica che tanto lui ne ha una super tecnologica e che farà tutte le foto che volete e con questa persona poi voi ci litigate, a sangue, al punto che non vi parlate più e degli agognati scatti non ne vedete neppure uno…
Beh, ecco, in questo caso vi assicuro che vi fareste anche voi sette ore di pullman ad andare e sei a tornare pur di procurarvi le vostre dannatissime foto!

luxot (tebe) - tempio di Karnak, entrata

17 agosto, la temperatura è sui 50 gradi. Una folla vociante vocia in mille lingue diverse. Le guide fanno a gara a chi grida più forte. Il groviglio di corpi è tale che capita spesso di ritrovarsi intruppati nel gruppo sbagliato, finché ci si rende conto di star attentamente ascoltando una spiegazione in russo o in giapponese.
I pochi spazi all’ombra son contesi a suon di gomitate nei fianchi e pestoni sulla punta dei piedi, nudi. L’istinto di sopravvivenza, si sa.

F: buongiorno io sono Francis, il mulo parlante, archeologo e vostra guida.
E: ehi, maia, anche tua sorella è archeologa, no?
M: sì, in effetti…
F: come? Sei archeologa tu?
M: no, non io, mia sorella.
F: ah, ecco, bene, molto bene… vi dicevo… ecco, questa sala è molto importante. Vedete le colonne? Sono antichissime.

Luxor (Tebe)  - tempio di Karnak, particolare colonnato

L: quanto antiche?
F:… antichissime e sono importanti perché stanno a simboleggiare la riunificazione dei due regni. Vedete? Quelle col capitello aperto rappresentano il fiore di loto, simbolo del Basso Regno, e quelle col capitello chiuso rappresentano il papiro, simbolo dell’Alto regno.
S: mi scusi… ma la guida dell’altro gruppo ha appena detto l’esatto contrario…
F: cosa?
Tutti: la guida ha detto che quello aperto è il papiro e quello chiuso il loto.
F: ma quello non capisce niente, lo conosco io, gli danno il lavoro perché mossi a compassione, siete fortunati ad essere capitati con me!
C: mi scusi, ma nel mio libro c’è scritto…
F: che libro?
C: la guida, vede? C’è scritto che il papiro era il simbolo del Basso regno e che il fior di loto…
F: fammi vedere! Embè, non è esattamente quello che ho detto io? Ma andiamo avanti…
Che fate lì? Le avete già fatte le foto, muoversi! Tanto sempre con gente in mezzo vi vengono!
Ed eccoci davanti alla rappresentazione di uno degli dei più amati.

Luxor (Tebe) - tempio di Karnak, particolare dio Min

Il dio della fecondità Min. Da cui la vostra parola MINCHIA. Perché voi non lo sapete, ma tutte le vostre parole e nomi derivano dalla nostra lingua. Per esempio, c’è un Luca qui?
Tutti: …
F: Dai, un Luca… non è possibile che non ci sia un Luca in un gruppo italiano! Non ci posso credere, degli italiani senza un Luca!
Tutti abbassano gli occhi, costernati.
F: Vabbè, e un’Elisa? C’è o no un’Elisa? Allora?
M: ehm… c’è un’Elisabetta, può andare?
F: no, no! Elisabetta è ebraico!
Tutti saettano sguardi ansiosi in cerca di un’Elisa
F: Ecchecavolo, una Susanna?
S: eccomi!
Tutti tirano un sospiro di sollievo.
F: bene, Susanna nella nostra lingua vuol dire portata dai boccioli del fior di loto.
Visto? Tutti i nomi vengono dalla nostra lingua!
Andiamo avanti.
Questo è uno scarabeo sacro. La leggenda dice che se ci girate una volta intorno porta bene…
L: mi scusi, ma quella guida ha detto che per portar bene ci devi girare tre volte.
F: quella guida non capisce niente! Quello è un cretino! Se ci giri una-volta-porta-bene, se ci giri due-porta-malissimo, se tre-rimani-incinto!
C: il libro dice tre-bene, sette-incinto…
F: fate un giro intorno a quel maledetto scarabeo e poi seguitemi! Veloci! Che dobbiamo ancora vedere il negozio di artigianato locale. Tutta roba bella, eh, non come quella che trovate nei soliti negozi. Tutta roba nuova ma come se fosse antica. Con tanto di garanzia, eh. E tu butta via quel libro!
E Susanna, la vuoi piantare di correre intorno a quello scarabeo?

ps più tardi, stravaccati in stato di semincoscienza sul pullman che ci riporterà in albergo, Francis confesserà di essere stufo di fare il buffone per stupidi turisti mordi e fuggi. Che non ne può più del solito copione quotidiano a base di freddure su giapponesi e francesi (quando guida italiani. su italiani e giapponesi quando guida tedeschi. su tedeschi e giapponesi quando guida francesi). Che non si era laureato in archeologia per far quello.
Ma ha pronta la soluzione, Userà il suo istrionismo e la perfetta padronanza della lingua italiana e di tutti i suoi dialetti per raggiungere il figlio in Italia.
Ha aperto una pizzeria. Ed ha bisogno di una mano.

un’estate al mareee (1)

di maia, 1 Settembre 2007

Sbattono le imposte.
Vado a chiudere le finestre e vedo che il vento sta portando a spasso nuvoloni dall’aria poco promettente. Mi affaccio, e nel serpentone sotto casa riconosco il famigerato rientro estivo. Accendo la tv e mi accorgo che i programmi televisivi, uno alla volta, si stanno lentamente risvegliando. Il sorriso di gorge clooney, abbagliante come in un film dei coen, sbuca da ogni tg.

È settembre. È ora di riprendere le solite abitudini.

Un ultimo sguardo all’abbronzatura, che, cavolo, sta già venendo via! Ma come, dopo tutta la fatica per prenderla, le ore di estenuante tortura, lucertolati sotto il sole africano, con il termometro che segna 49°… ah già, io sotto il sole non ci sono stata praticamente mai. Del resto è più forte di me, il mare è troppo attraente. Così come troppo allettante è un comodo lettino sotto l’ombrellone. Vuoi mettere la soddisfazione di leggere distesi all’ombra in riva al mare, in santa pace…
Santa pace…
Beh, fino a quando non arriva la solita coppia di soliti ragazzini col solito stereo che irradia la solita musica, a tutto volume. Italiani, ovviamente.
È proprio vero, non si riesce a scappare mai abbastanza lontano.
Mi tappo le orecchie con due paguri giganti (tanto il bianco non aveva alcuna chance, quello nero stava stravincendo la corsa), e riprendo la lettura. Anche questa volta, previdente, mi ero fatta la scorta. Prima di partire sono andata alla mia solita libreria e, come da copione, ci ho lasciato mezzo stipendio. Mi sono tenuta alla larga dal bancone novità, invaso da “Il codice di Archimede”, “Il codice di Machiavelli”, “Il segreto di Michelagelo”, “La verità su Maria Maddalena”, “La vera storia dei templari raccontata da Marzullo” e sono andata dritta al reparto giallo/noir.
Questa volta mi sono ritrovata nel cestino Avoledo, Saramago (2), Camilleri, Stout, Lodge, Lucarelli (2), Macchiavelli (2), Queneau (fresco di stampa), Eugenides, Hart, Sciascia, Dürrenmatt (2).

Sulla spiaggia, mentre constato amaramente come in agosto i commessi non tengano in gran considerazione l’ordine sugli scaffali, inizio a sfogliare uno dei Dürrenmatt. Si intitola “Il Minotauro”. “La morte della pizia” mi era piaciuto proprio tanto. Poche pagine, ma intense. Anche questo è più o meno della stessa lunghezza. Sono 74 pagine. Certo, però, che è scritto con caratteri enormi. Praticamente un libro per ipovedenti. E non riesco a leggere lo stesso! Eppure ho scelto apposta le lenti arancioni, per vedere meglio… ma che cavolo c’è scritto? Diamine, ho “scelto” la versione con testo originale a fronte! È una bellissima idea, peccato che di tedesco io conosca giusto le parole essenziali: essen e slafen. Che poi non ho nemmeno idea di come si scrivano…
Vabbè, il libro deve essere comunque gustoso. Cavolo, quante figure! Ogni tre pagine c’è un disegnino! E che brutti che sono! Lugubri… insomma, fammi un po’ vedere… in tutto di pagine leggibili ce ne sono 23. Per un costo totale di 8 euro.
Praticamente tutto il testo è lungo quanto la quarta di copertina. Leggo quella “… Luogo dell’azione, un labirinto fatto di specchi che riflette immagini all’infinito… un gioco di rimandi fra l’essere e la sua ombra, il corpo e le sue migliaia di copie riflesse, che riproduce l’illusorietà di qualsiasi tentativo di fuga. Un racconto che corre rapido verso un epilogo drammatico… con i lettori schierati al fianco del presunto mostro…).
Fatto. Posso passare a Camilleri.

Promemoria. Devo decidermi a trovare un metodo diverso per scegliere i libri.