Professionalità, perdio!
Comunque penso che si possa trarre una morale anche da tutto questo casino.
Non ci si improvvisa professionisti ad alto livello, in nessun campo.
Ci vuole dura gavetta e dignità anche per fare la puttana.
Santo subito
Ahhhhh, essere malata che bello. Niente alzarti presto la mattina, niente far finta di capire una lingua aliena, puoi rimanertene a casa, sotto il plaid a quadrettoni, a goderti il meglio della programmazione televisiva italiana. In alcuni casi senza nemmeno dover accendere la tivvù.
La trasmissione della d’Urso, per esempio, si sente benissimo anche dall’appartamento di fronte. Specialmente il dibbattito.
Questa sera doveva essere qualcosa tipo i sani valori della brava famiglia cattolica italiana contro il resto del mondo.
Peccato solo la maledetta nausea che mi ha costretta tutto il tempo in bagno a vomitare. Dice sia il virus.
Comunque pare abbia vinto il Papa.
O i Dolce & Gabbana Milano Thunder, non ho capito bene.
Peccato, io tenevo per i San Antonio Spurs.
Le cose da non dire
Una cosa che mi hanno insegnato in tutti questi anni le mie vere balie, ovvero i cartoni giapponesi (soprattutto Candy Candy) e le serie tv americane (tutte) è che non è sempre male mentire. Che ci sono le bugie fini a se stesse che sono cattive e non vanno mai dette. E che però esistono anche le famose bugie a fin di bene che sono buone. E non è proprio così brutto dirle. Anzi, spesso è un bene dirle. Anzi, vanno proprio dette.
Perché a volte l’altro non è pronto a farsi sbattere in faccia la nuda verità.
Tipo che uno non ha bisogno di circondarsi di gente per divertirsi.
Perché c’è solo una cosa che suona più incredibile alle orecchie di un conoscente del fatto che trovate divertente trascorrere le vacanze da soli. Ed è il fatto che trovate divertente trascorrere il capodanno da soli. Da soli con il vostro lui/lei, intendo.
– Amore, che fate a capodanno?
– Vedessi, mamma, siamo a una festa bellissima, saremo un trecento-quattrocento, in un castello medievale coi ponti levatoi e tutto, con aperitivo, cena pantagruelica, discoteca…
– Ma non ti è mai piaciuta la discoteca!
– …tutti vestiti in maschera e a mezzanotte il cinzanino dolce…
– Ma se hai sempre odiato il pippone! Sin da bambina, But, ci dicevi, volio il Buuut! Insieme ad altre cose, tipo che ti avevamo adottato da un orfanotrofio di pony in america o inghilterra, che una volta diventata capitano delle guardie avresti ucciso i lucertoloni verdi vestiti da umani…
– …e i giochi e i canti e i balli.
– Canti… oh, non sarà mica il caraoche! Hai sempre vomitato davanti al caraoche!
– E il trenino AEIOUY
– Diosanto, IL TRENINO! Allora ve la state proprio spassando! Beati voi, che qui si fa sempre la solita cena fra amici. Godetevela, voi che almeno potete.
– Come mamma? Non ti sento, qui ci si sta divertendo un casino! Aspetta, che rai1 dice che fra poco scocca la mezzanotte e qui è scoppiato il parapiglia! AUGURIIIII!
Poi si aggancia veloci il telefono, si abbassa la musica e ci si allaccia al proprio compagno, nella casa in penombra. Ci si abbraccia e si passa il capodanno a dirsi parole dolci e a servirci i manicaretti prelibati che abbiamo passato l’intero giorno a cucinarci1.
So che suona incredibile, ma questo è per me il migliore dei capodanni possibile.
O almeno lo sarebbe se fossi una pazza festofoba. Che io, non so se ve l’ho detto, il capodanno l’ho passato a una festa bellissima, in un castello medievale con ponte levatoio e tutto.
E comunque AEIOUY a voi, qualunque sia il modo in cui l’avete festeggiato.
- ognuno secondo le proprie capacità culinarie, si intende. Il che vuol dire che lui ha spalmato la salsa da tartine nei vol au vent e io ho fatto tutto il resto [↩]
Il misterioso mistero dei regali di natale
Dunque, ho passato due pomeriggi, due preziosissimi pomeriggi della mia vita a cercare regali per persone a cui presumibilmente non piaccio, che diffidano fortemente di me per la mia provenienza sospetta (vengo da un posto che dista più di 30 km da CuneoCity), per la mia parlata sospetta (“passato remoché?”), per la mia completa accettazione del diverso sospetta (“ma è frocio!” “…” “no, forse non hai capito, è proprio frociofrocio! e non ti fa effetto?” “no” “eh, ma guarda che è pure negro!”).
E niente, nonostante non abbiamo niente in comune, ho deciso di piacere a queste persone e, perdio1, ci riuscirò.
Quindi sono andata al super ed ho acquistato otto regalini. Uno a testa. Niente di che, regalini da poco, che tanto si sa, è il pensiero che conta.
Comunque, mi metto di buzzo buono a impacchettare con maestria i miei preziosissimi regalini, le chiavi della mia futura felicità, quando al quinto pacchetto mi accorgo che ne son spariti due. Di regalini, intendo.
Erano otto, son sicura, li ho contati quando li ho comprati, li ho ricontati quando li ho passati al mio comp uom fidanz, insomma, al mio lui per il controllo prezzo (sono una creaturina sbadata, ho invariabilmente bisogno che qualcuno controlli se per caso non ho lasciato qualche etichetta di troppo sui regali) ed erano sempre, invariabilmente otto.
Passo a fare i pacchetti e son sei.
Come diamine è possibile?
Chi ha fatto sparire i preziosissimi regali? E perché? Che forse il mio coso, lì, avido e geloso dei bellissimi regalini non destinati alla dilui persona, se li è sgraffignati mentre ero tutta presa nel tentativo di arricciolare un bellissimo nastro da pacchetti in ghisa dorata?
Son forse stati degli elfi in pieno panico per l’esaurimento delle scorte di gormiti e cicciobelli vomitini, che pur di regalare qualcosa a bimbi viziatissimi, oltretutto frignoni e fastidiosamente bassi, si son ridotti a rubare i regali della povera gente? Maledetti, maledettissimi nani, l’ho sempre detto che dei tizi piccolissimi vestiti da tirolesi ubriachi e le orecchie a punta non potevano portare nulla di buono!
Perché, dico io, tanta cattiveria nel mondo?
Un po’ di bontà, Perdio, siamo a Natale!
- nb, non si tratta di bestemmia. Perdio è il il passato remoto del verbo “perdere la pazienza”. Oh, se anche voi non conoscete il passato remoto non è mica colpa mia [↩]
le meravigliose scoperte di maia – divani
Oggi ho finalmente svelato un arcano.
Dopo mesi passati ad interrogarmi su come sia possibile che lui riesca a pulire i pavimenti in meno di metà del tempo che ci metto io, oggi ho spostato il divano.
Home sweet home
– Maia! Cos’hai combinato al mouse?
– Buongiorno mamma…
– Sì, sì, buongiorno. Ma cosa diamine hai fatto al mouse? Perché lo hai cambiato? Lo sai che odio i tuoi dannati aggeggi! Da quando stai con quello, sempre impossibili aggeggi nuovi! Rimetti subito quello vecchio!
– Mamma, calmati, io il mouse non l’ho toccato giuro!
– Sì, e allora vieni a vedere. Che non ci sono più i tasti sopra, sai, quello destro e quello sinistro per fare le cose, e la freccina si muove in maniera strana! Guarda, vedi?
– Mamma… lo stai tenendo all’incontrario…
senza titolo (e un po’ di pubblicità al BARCAMP)
L’altro giorno è uscito su Cronache di una sorte annunciata (che fra l’altro è anche un prestigioso ebook scaricabile gratis) un articolo sulla sfiga. Cosa non del tutto sorprendente, visto che tutto il blog è dedicato all’argomento. Stupisce un po’ di più il fatto che il pezzo è mio, che di solito rifuggo certe occasioni. Ma l’amico Marco è, come dire, così convincente, che alla fine ho ceduto.
Ed ho prodotto un post “senza titolo”. Più sfigato di così…
Caro amico Marco, mi spiace, ma a me, come a tutti gli sfigati epici, parlar di sfiga proprio non riesce. È come una legge del contrappasso, se godi di troppa sfiga, ti è impedito di poterne raccontare.
E non a caso. Secondo me è tutto preordinato. Son convinta dell’esistenza di una Divinità della Fortuna, anzi, una Divinità bifronte della Cattiva e della Buona Sorte che decide, che stabilisce a priori chi nasce con la camicia e chi invece completamente e miseramente nudo.
Ci ho studiato anni e anni come funziona questa cosa.
E sono giunta a una conclusione.
È un po’ come se a ciascuna famiglia fosse data in assegnazione una certa dose di Fortuna. E per compensazione una corrispondente dose di sfiga. Ora, di solito, in ogni buona famiglia le due Virtù dovrebbero essere divise come ogni altra cosa, equamente. Ci sono, però, dei casi in cui il meccanismo si inceppa e tutta la Fortuna finisce in capo ad un solo elemento. Per mantenere gli equilibri universali, tutta la sfiga finisce immediatamente in capo a un altro membro. Nella mia famiglia, per esempio, la Dea ha deciso di baciare mio padre. E non dico tanto per dire. Mio padre è di quei tipi che se in settimana bianca con il dopolavoro ferroviario c’è una lotteria, lui non vorrebbe partecipare, ce lo trascinano, sceglie tre numeri controvoglia e vince primo, secondo e terzo premio (in ordine, televisore panoramico, paio di sci – e, ovviamente, lui nemmeno sa sciare – e un signor prosciutto di chili ventinove). Sua figlia (che poi sarei io), per contro, a una pesca di beneficenza, mentre tutto il resto della tavolata si gode bellissime piante o deliziosissime spugne colorate, vince uno scotch, ovviamente inteso come nastro adesivo, e un minuscolo cactus assassino, i cui minuscoli aghetti assassini le si conficcano e le martoriano tutte le carni delle mani e di altri posti che non vogliamo indagare. Ma non si lamenta.
Ché per uno sfigato cronico la vita è sempre questa, un continuo pungersi con aghi assassini di cactus nani.
La sfiga diventa così connaturata ad ogni minuto, ad ogni secondo della vita, che tu nemmeno ti rendi più conto di esserne vittima.
Ormai quando esci di casa rivestito di tutto punto per andare al matrimonio della tua migliore amica e l’unica macchina del giro di venti miglia punta l’unica pozzanghera sulla strada, al tuo fianco, e ti sfreccia accanto alzando un’ondata anomala che ti ricopre tutto di melma e per evitare il disastro il tacco dodici, che metti solo per l’occasione perché non lo sai portare, ti s’infila nella grata del tombino, rompendosi e facendoti rotolare per strada e la vicina che ti sente urlare, preoccupata, si affaccia dalla finestra per controllare cosa sia quel trambusto e nel farlo ti tira un vaso di gerani in testa, ecco, te, sfigato cronico, in quel momento non urli alla sfiga, no. Tu nemmeno ti rendi conto di essere sfortunato. Tu, misero, in quel momento ringrazi solo che in tutto quel macello ti sei salvato, non hai pestato quella m… merda!
Ecco, caro Marco, questa è una giornata media del medio sfigato cronico. Magari un poco sceneggiata, ché io, ad esempio, mai e poi mai metterei un tacco più alto di cinque centimetri, è proprio una questione di principio, il principio che sui tacchi non ci so stare. Però indica bene l’andazzo. E, soprattutto, l’arrendevolezza, l’accettazione delle cose che circondano lo sfigato medio.
Io però non mollo, eh.
Anzi, ho pensato a un modo per uscirne.
Ho inventato il braccialetto antisfiga. No, non uno di quelli di filo colorato intrecciato che si faceva da bambini. Sto parlando di cose serie. Questo è un trendissimo braccialetto antisfiga di tutto punto, in vera plastica, colorata, con un quadrantino fighissimo in cui c’è incisa la garanzia che “il Braccialetto Aureo Riequilibratore Cosmico degli Atomi Molecolari Portasfiga (d’ora in poi BARCAMP), dal design aerodinamico e affusolato, è capace di captare le onde anomale di sfiga che circondano il fortunato possessore e di annullarle e anzi convertirle in benefiche onde di calda e dolce Buonasorte. Mai più sfiga con BARCAMP! Ed è anche subacqueo!”
Come dici, che la gente è troppo furba per cascarci? Ma se comprano in massa il braccialetto per equilibrare le onde geomagnetiche! Io, per dire, ne ho già tre.
Ah, no, so già che questa volta farò i veri soldi, non come quando ho inventato l’assorbente femminile che ti parla, l’unico capace di avvisare a voce alta la giovane donna quando è ora di sostituirlo. Dannazione, ancora non ho capito che cos’è che non andasse. Avevo persino ideato un pacco lancio con dodici simpatiche suonerie incluse e la possibilità di scegliere la voce dell’avviso fra quella di Bonolis, quella di George Clooney e, per le più religiose, quella del Papa!
Comunque questa volta sarà diverso, lo sento.
Il Braccialetto Antisfiga avrà successo.
Per ora il progetto è solo un abbozzo nella mia mente, però mio padre ne ha già vinti cinque!