Odi et amo
“Come faccio a saperlo? Come faccio a sapere perché ho creato un personaggio così disgustoso? Dovevo essere impazzita! Perché ho scelto un finlandese se non so niente della Finlandia? Perché ho pensato a tutte quelle maniere idiote che lo caratterizzano? Sono cose che succedono. Crei un personaggio… e sembra che il pubblico lo apprezzi… e tu continui… e prima che ti renda conto dove sei arrivata, ti ritrovi legata per tutta la vita a quell’esasperante Sven Hjerson. E la gente arriva persino a scrivere… a dire che gli devo essere molto affezionata. Affezionata? Se incontrassi quell’ossuto, magro vegetariano finlandese nella vita reale, imbastirei l’omicidio più perfetto che abbia mai inventato.”
La scrittrice Ariadne Oliver parla della sua creatura, Sven Hjerson, impareggiabile investigatore.
In un romanzo di Agatha Christie.
Con Poirot.
Supereroi
Stavamo discutendo con il mio lui su quale fosse il migliore.
Il migliore superpotere, intendo.
Io sono incerta fra il volo, la lettura del pensiero e la depilazione definitiva.
– Il migliore è senz’ombra di dubbio il teletrasporto! fa lui.
Ti immagini? Nell’ora di pausa pranzo andare a fare un bagnetto alle Seychelles? E che bella abbronzatura, mi farebbero tutti!
Certo, come no, adesso uno si fa un superpotere, uno su misura, e poi se ne va a lavorare tranquillamente. Come se uno i superpoteri non li volesse solo per vivere meglio. Più comodi, diciamo. Certo i casi dell’uomoragno o di superman son casi a parte. Ma prima di tutto sono fiction. E poi son poteri che si son ritrovati, mica li hanno scelti loro.
Io parlo seriamente. Nella realtà se uno si fa il superpotere, poi se la spassa.
Ecco, presa in questo senso il superpotere di gran lunga più utile è senz’altro quello della depilazione definitiva. Che a ben guardare leggere la mente altrui e volare sono superpoteri molto pericolosi. Volare porta a irragionevoli atti di eroismo. E sentire tutto quello che pensa la gente… che non sai mai chi ti ritrovi accanto… a Cuneo, poi!
Il teletrasporto sarebbe comodo anche per far le rapine in banca, dice lui. Uno si fa vedere tutto bello paciocco che fa un prelievo allo sportello di Cuneo della banca di Caraglio mettiamo alle 14, e poi, mettiamo, alle 14,05 fa un furto nella filiale di Tokio della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. Vestito da ninja. Irriconoscibile!
Certo, sembra allettante, ma io non mi fido. Chi mi dice che nel teletrasporto si teletrasportino anche i vestiti? E se poi io alla filiale di Tokio della Cassa di risparmio di Pistioia e Pescia ci arrivo completamente nuda? E i soldi? I soldi si teletrasporterebbero con me?
No, niente, ascoltate me, il miglior superpotere è senza dubbio la depilazione definitiva.
Le meravigliose scoperte di maia – Introversione
Oggi ho scoperto di avere l’utero introverso.
E’ un discreto problema.
Non per l’introversione in sé. Che io di introversione sono una grande esperta.
Sempre stata introversa, è una cosa genetica, di famiglia. Non di tutta la famiglia, a dire il vero. Anzi, adesso che ci penso, i miei parenti son tutti molto estroversi. Al limite dell’invadenza. Non io, io sono una introversa. Da sempre.
Ma col tempo ho imparato a prendere le mie contromisure. In una situazione pubblica, potenzialmente imbarazzante, prendo per prima la parola e parlo, parlo, parlo, fino a confondere gli interlocutori.
Oggi ho scoperto di avere l’utero introverso. Sarà mica uguale?
Mortacci (sua)
Mi fanno ridere tutti questi bei tomi che parlano di difficoltà nella vita di coppia, di attriti insanabili che crescono col tempo e altre scempiaggini del genere.
In realtà la mia convivenza scorre via beatamente. In fondo basta raggiungere un accordo preventivo con la controparte, qualcosa di semplice e lineare, del tipo “si stabilisce che in ogni forma di conflitto e di contrasto, la contraente (ovvero io) ha sempre ragione e il subente (ovvero tu) me la riconoscerai sempre (la ragione) ed alla fine di ogni discussione converrai con me sulla mia innata acutezza e non comune intelligenza. Oltre che su una bellezza mai vista, non bellezza intesa nel senso classico, ovvio, una bellezza tutta mia, diciamo, ma intensa. In cambio mi impegno a riconoscere che sei un tipo”.
Ecco fatto, che ci vuole?
Solo su una cosa non riusciamo proprio a metterci d’accordo il mio fidanzato ed io.
E’ che per lui in un noir, per essere buono, non ci devono essere morti ammazzati.
New art attack
Io di arte non capisco niente, lo so. Specialmente di quella contemporanea.
E già immagino le risposte sdegnate di chi l’arte contemporanea la studia e, soprattutto, la capisce. Quest’arte nuova e viva e pulsante e finalmente libera dalle polverose stanze dei polverosi musei.
Ma è più forte di me, a me vedere l’artista contemporaneo che crea in diretta un’opera d’arte contemporanea (con materiali di scarto della scenografia dello studio, contemporaneo) su art news, mi fa venire in mente un tristissimo misto fra una puntata di art attack e una della prova del cuoco.
(al minuto 25 del filmato è possibile ammirare il geniale Prodotto d’Artista)
Confessioni di una mente pericolosa
Dove si dimostra che gli uomini sono davvero tutti uguali
Quando mia moglie si fa la doccia, sta più di un’ora a regolare l’acqua, e arriva in un punto precisissimo in cui se sposta il regolatore di un millimetro a sinistra l’acqua diventa bollente, e se lo sposta di un millimetro a destra diventa gelata.
In quel momento, quando ha compiuto uno sforzo sovrumano per avere la temperatura proprio al punto giusto, e il vapore annebbia gli specchi e fa della stanza da bagno un nido di tepore, finalmente si infila sotto la doccia.
In quel preciso momento io, lo giuro, involontariamente, ma con una scansione dei tempi perfetta, giro la manopola di un lavabo, in cucina o nell’altro bagno o chissà dove, e sotto la doccia l’acqua diventa improvvisamente pochissima e ghiacciata. So che lei si sta schiacciando in un angolo del box perché non ha il coraggio di chiudere per poi ricominciare da capo la regolazione, e soprattutto perché pensa che durerà soltanto un attimo, sta tirando dentro tutti i muscoli senza riuscire a evitare gocce assassine, e urla, urla a squarciagola «chiudiii, chiudiiiiii».
Se sento – perché con due getti d’acqua e le porte chiuse potrei anche non sentire; ma se sento quelle urla, mi rendo immediatamente conto e chiudo tutto.
Dopo, quando esce dalla doccia e avanza verso di me con gli occhi spiritati, io mi meraviglio, e la prima cosa che faccio è negare: giuro che non ricordo di aver aperto il rubinetto dell’acqua calda, lo giuro solennemente. Soltanto dopo un interrogatorio lungo e stressante, ammetto la colpa.
Ma giuro che mi ero dimenticato che stava facendo la doccia, altrimenti non l’avrei mai fatto.
(Francesco Piccolo, Momenti di trascurabile felicità, Einaudi 2010, pp. 20-21)
Macchiette
A me le macchie son sempre state simpatiche.
Se dite “macchie”, immagino subito una bella mucca pezzata, che rumina placida l’erbetta fresca verde verde, sotto un cielo azzurro azzurro, come nei disegni dei bimbi.
Né mi disturbano le macchie di altro tipo. Anzi. Mi fanno tenerezza. A me fa piacere guardarle e ripensare al momento in cui son nate. Toh, guarda, quello dev’essere il ragù di ieri. Ehi, ma quella è la peperonata di luglio! Nooo, dai, ma quello… quello deve essere proprio il tiramisù che ti ho fatto il natale dell’altranno! Ti ricordi che buono?
Ecco, a me le macchie non mi hanno mai dato noia. Tantomeno mi hanno mai impaurito.
E allora com’è che non mi sono mai sentita così leggera come quando mi ha detto “oddio, no scusi! Signorina, mi scusi tanto, non era il suo fegato, era la lastra ad essere sporca!”.
Ecco, non avrei mai pensato che sarei diventata una fissata della pulizia.