Cose che odio della convivenza
Odio quando fa finta di uscire di casa. Quando fa tutti quei rumori, precisi, di chi sta uscendo di casa, passi che si allontanano, porte che si chiudono, e io inizio a fare cose che non farei mai in sua presenza.
Tipo graffiare il fondo della pentola antiaderente con il cucchiaio.
Poi mi giro…
Ciao Stivgiobs
Lei: amore… ma quando muoio io, piangi anche per me, vero?
Lui: sì, ma un po’ di meno.
Notte prima degli esami
Ci siamo.
Ho studiato tutta la notte, devo farcela.
È proprio vero, rimettersi sui libri dopo anni di inattività cerebrale è davvero difficile. I tempi dell’università e della prontezza mentale sono lontani. Troppo lontani.
Dio che nottata! Proprio come venti anni fa (venti!), prima dell’esame di maturità. Tesa, emozionata… quella foga, troppa, che ti fa perdere la bussola, non ti fa concentrare. E finisce che ti metti a leggere tutto quello che ti passa sottomano, romanzi, fumetti, opuscoli, persino Hesse, tranne i libri di testo.
Ah, ma questa volta son stata proprio brava, ho seguito scrupolosamente il programma che mi è stato dato. Tutto. Mica mi fregano. L’ho imparato a memoria. Dalla prima (“Anestesia”) all’ultima parola (“ANESTESISTA”).
Ho sfogliato wikipedia per cercare i termini più difficili (“peridurale”, “subaracnoidea”, “sensibilità”).
Ho tirato fuori tutti i libri di testo di liceo e università. Ho rispolverato persino quello di letteratura latina, che non si sa mai. In fondo il latino torna sempre utile.
Certo, se mi dicevano che alla mia età avrei dovuto ricominciare con gli esami… per di più “esame preparatorio dall’anestesista”, di cui, francamente, non avevo mai sentito parlare…
Basta, mi sento pronta.
Gli occhi sgranati e le mani tremanti per i troppi caffè, sono qui, davanti all’aula numero “N”1.
Aspetto il mio turno. Un veloce ripasso mentale, Cesare, Napoleone, Deboroh La Roccia, le so tutte!
Speriamo solo non mi chiedano “capitali europee”.
- strano anche questo. In questo ospedale le aule si chiamano “ambulatorio” [↩]
Delle deviazioni mentali imposte dai socialcosi
Ambulatorio di preospedalizzazione di un qualsiasi ospedale del centro italia.
Interno giorno.
In lontananza si odono grida come di bimbo scuoiato.
Sottofondo ritmico, continuo, di battito di piedi.
Sono i piedi della rompicoglioni che aspetta il suo turno seduta affianco a me.
Lei, la rompicoglioni, è tutta uno sbuffare e borbottare. E la sanità che schifo… è dalle sette di mattina che si aspetta… e non si può perdere tutto questo tempo… dio di qui e dio di là…
Mia mamma alza le sopracciglia e atteggia la bocca a cuoricino. So cosa significa: sta per simpatizzare.
La blocco con un perentorio “mamma, don’t feed the troll”.
Il bello della diretta
Ho un fidanzato che odia il calcio. Del resto l’uomo perfetto non esiste.
L’unica cosa che gli rende accettabile ascoltare il dopopartita alla radio, una sana, vecchia radio locale, sono le interruzioni pubblicitarie. Lui le adora. E non faccio fatica a capirlo.
Le radio locali fanno tenerezza. Conservano un sapore come di antico. E di casereccio che non può non riscaldarti il cuore, come un bel piatto di tortellini fatti a mano.
In più la sicurezza di essere ascoltati da gente “di casa” fa rilassare chi trasmette. Nessuno cerca di dominare il linguaggio, il dialetto imperversa incontrollato.
E la pubblicità è meravigliosa. Non ci son remore, non ci son limiti. Nessun gioco di parole è troppo grezzo o stupido per impedirne la messa in onda.
Le parole son talmente ipnotiche, da far dimenticare tutto il resto.
Quest’anno due spot su tutti spiccano:
“IL TUO AFFARE A PORTATA DI MANO!”
“E ORA SON COZZE VOSTRE!”
Varrà ben la pena di ascoltarsi 90 minuti di partita e 180 di commento, se poi si viene investiti, totalmente a sorpresa, da tanta poesia.
Chissà cosa stanno pubblicizzando.
Patria potestà
Ho appena visto la figlia di tom cruise in tivvù. Ecco, io, rispetto a tom cruise, sarei sicuramente una madre migliore.
Plumcake alla messicana
Il bello di stare a casa è che finalmente si possono fare tutte le cose che avreste sempre voluto fare ma che non avete mai osato chiedere.
Tipo rigirarsi nel letto cinque minuti in più mentre la dolce metà si scapicolla (lentamente, molto lentamente) al lavoro.
O passeggiare senza meta per le vie della città.
O pulire i balconi.
La cosa che preferisco fare io adesso che sono a casa è cucinare1. O almeno provarci.
In fondo mi avvicino ai quaranta, sono quasi una signorinella e ho l’impressione che continuare a servire agli ospiti uova sode e insalata come pietanze all’ultimissima moda (pensa, c’erano anche al matrimonio di will&kate!) non funzioni mica tanto.
Così mi sono armata di santa pazienza, mi son comprata un grembiule, mi sono rimboccata le maniche ed ho comprato tutti gli ingredienti di tutte le ricette del mondo. Così, per non farmi trovare impreparata.
Poi ho reperito fonti idonee su ogni tipo di supporto, libri, libriccinii, foglietti sparsi, mitìviglieri, riviste, internet e mi sono messa sotto.
Certo, come in tutte le cose bisogna partire dal basso, dalle cose più semplici. E seguire pedissequamente le ricette. Niente voli di fantasia, per carità! Almeno fino a quando non sarete capaci di salare la pasta senza prima pesare il sale.
Così anche le cose più difficili riusciranno alla perfezione.
Tipo l’insalata di rucola.
O l’uovo alla coque.
Adesso sono arrivata al plumcake allo yogurt.
Tutto bello e meraviglioso, ho messo le cose che vanno messe, ho girato, mescolato, amalgamato, imburrato e versato.
Solo una cosa mi lascia perplessa.
Dice qui “cuocete in forno blabla, a tot gradi blabla, senza MAI aprire la porta del forno finché il plumcake non è perfettamente cotto. Per sapere se il plumcake è perfettamente cotto infilateci uno stecchino da denti”.
E’ più di un’ora che lo guardo senza sapere che fare.
- anche perché pulire il balcone è chiaramente un lavoro da uomini. E’ evidente, dai. E passeggiare per le vie di Cuneo… vabbè [↩]