september morn (è tempo di migrare *)

di maia, 1 Ottobre 2007


Settembre è un mese strano. Che ho sempre amato, per i colori, il clima, il senso di dolce malinconia… E sempre odiato, perché rappresenta il ritorno alla routine.
Il ritorno a scuola. O al lavoro.
Ma da qualche anno è diventato un vero è proprio incubo.

Settembre è, infatti, il mese dei modelli viventi. No, non i modelli belli, tipo quelli di armario, sauronel, edo saint antoine o fEndi, e nemmeno quelli che son diventati commessi dalla apple…
No, parlo dei terrorifici MODELLI 770.
Lo so, voi pensate che esageri. Ma lasciate che vi spieghi. Avete presente spiderman II in cui lo scienziato buono stava inventando una cosa buona per il bene dell’umanità (buona)? E poi questa cosa gli è sfuggita di mano e non solo è diventata cattiva, ma ha fatto diventare cattivo lui pure?
Bene, è la stessissima cosa.
Un giorno un ragioniere pazzo ha inventato una dichiarazione che serve per verificare se i datori di lavoro pagano effettivamente allo stato le tasse che trattengono in busta paga ai loro dipendenti. Per evitare il rischio che se le tengano loro e ci facciano, che so, crociere con la moglie o ci comprino macchine nuove per i figli…
Bene, all’improvviso questa cosa ha preso vita propria, è cresciuta, si è riprodotta e, da poche pagine che era, è diventata un librone mastodontico, pieno di complicatissimi richiami, istruzioni incomprensibili e veri e propri tranelli tesi ai danni del povero compilatore. Il quale, per un mese all’anno, viene completamente risucchiato, fagocitato, masticato, digerito e poi sputato fuori in condizioni pietose.
È come se ogni anno perdesse un intero mese di vita. Di quello che gli accade intorno non sa niente, non vede niente, non sente niente. Non sa cosa succede nel mondo, ma nemmeno quello che capita nella propria famiglia.
Questa, ad esempio, è una conversazione tipica da primo ottobre in casa rompiglioni:

sorella di maia: oh, ciao!

maia: oh, ciao! come stai? e lei chi è?

sdm: Come chi è, è mia figlia!

maia: Tua figlia? Cioè tu hai una figlia? E da quando?

sdm: Come da quando? È nata tre mesi dopo il matrimonio!

maia: Oddio… sei sposata? E quando è successo?

sdm: Il primo settembre, no?

Maia: …
ma te l’ho fatto il regalo?

Così mi son persa un sacco di belle cose, mi dicono.
Mi son persa la nascita di tre nuovi partiti. Le uscite di Mastella e Dini e di tutti quei deputati della maggioranza che votano contro la maggioranza per il bene della maggioranza. Mi son persa il Girolamo Grillo imprecante e il coro dei politici offesi. Mi son persa gli sviluppi (?) di Garlasco e qualche gossip.
Mi son persa anche delle vere notizie.

Adesso che ho un po’ di tempo devo rimediare. Riallacciare amicizie, recuperare il rapporto coi parenti, convincere la mamma che è proprio sua figlia maggiore quella che si siede a tavola a fianco a lei.
E ascoltare la mia musica preferita.
E dedicarmi al mio mac, che ho lasciato abbandonato sulla scrivania.
E rimettermi in pari con l’attualità, leggendo i giornali arretrati. Una parola per pagina.
E riprendere in mano i libri rimasti sconsolatamante abbandonati a prendere polvere.
Via, stasera mi dedicherò a Saramago, che mi occhieggia dal comodino con la sua Cecità.

* NB sia chiaro, il poeta che più odio viene qui citato solo per amicizia.
Non è che sono amica del poeta, eh. E’ che a un mio amico piace.

c’è qualcosa che non va

di maia, 16 Luglio 2007

Mi è arrivato un messaggio dal promettente titolo “Complimenti! Hai vinto questi due regali”.
Io non mi ricordavo di aver partecipato ad alcun concorso ma, cavolo, una vincita è sempre una vincita!
Apro la mail per vedere in che cosa consiste il premio e mi trovo:

CONGRATULAZIONI!
Sei Stato Scelto per ricevere 250 Biglietti da visita + Etichette Adesive Abbinate GRATIS

Questa Offerta non durerà molto.
AFFRETTATI!!

ORDINA ORA

Ovviamente mi sono affrettata. Però mi chiedo, perplessa, chi è che mi ha scelto? E perché? E che me ne faccio dei suoi biglietti da visita?
A questo punto l’unica speranza è che siano biglietti da visita di qualcuno d’importante.
Con l’autografo incorporato.
Così posso rivendermeli.
E rifarmi almeno in parte dello sproposito che mi è costato questo premio.

eureka

di maia, 13 Giugno 2007

Me ne stavo tranquillamente spaparanzata alla mia scrivania a giocare a morra cinese con me stessa, piuttosto irritata dal fatto che fosse sempre la mano destra a vincere, quando l’immobile silenzio che aveva preso possesso di tutto l’ufficio è stato squarciato da una sirena.
A giudicare dal tonfo nella stanza accanto, quel suono, sinceramente antipatico, doveva aver fatto svegliare di soprassalto la mia collega ed averla precipitata sul pavimento.
Dannazione, mica ci avranno chiuse di nuovo dentro?
Mirella! Una collega del piano di sotto, costantemente persa nel suo mondo. Capita si alzi improvvisamente dalla scrivania, inserisca l’allarme, esca e chiuda a chiave l’ufficio, senza dire nulla a nessuno. Se succede durante la giornata, di solito le urla e gli strepiti delle altre colleghe e dei clienti riescono a fermarla in tempo.
Se succede nel pomeriggio, quando rimaniamo una per stanza e ci concediamo chi un meritato riposo, chi una telefonata intercontinentale, chi giochi intellettivamente superiori per tenere sveglia la mente, è difficile che qualcuno se ne renda conto. Così la prima che si alza dalla scrivania e si mette a girare per l’ufficio fa scattare la sirena.

“Mirellaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!”
Un unico ruggito si leva da tutte le stanze.
“Che c’è?”
Uhm… se Mirella è qui, questo non può essere l’antifurto.
Improvvisa, una lieve pioggerella inizia a posarsi, delicata, sui nostri capi e sui pc accesi e sui fili della luce, scoperti.
Una porta si apre, sbattendo violentemente contro il muro.
Un ometto paonazzo in volto muove freneticamente le minuscole zampette e si precipita, con il cestino della carta verso il bagno.
Sentiamo aprirsi lo scroscio della doccia.
Sentiamo anche un forte odore di bruciato misto a quello, inconfondibile, di sigaro invadere il corridoio.
“Che avete da guardare? E’ successo che… e’ successo che stavo cancellando delle scritte da un foglio, ho sfregato così forte con la gomma da produrre scintille… che sono cadute nel cestino! E poi… e poi un raggio di sole più forte degli altri è penetrato dai vetri, è passato attraverso le lenti dei miei occhiali e ha colpito le cartacce del cestino, dando vita ad un principio d’incendio. Avete presente Archimede Pitagorico, no?
Ma ora è tutto sotto controllo.
Tornate alle vostre occupazioni! Svelte!”
Aiuto la mia collega a rialzarsi.
Ci guardiamo in faccia, uno sguardo veloce al cielo plumbeo fuori dalle finestre, uno sguardo al capo che rientra con nonchalance nella sua stanza.
E torniamo alle nostre occupazioni.

Accidenti, la destra, ancora!

piccolo manuale di sopravvivenza quotidiana

di maia, 5 Giugno 2007

C’è poco da fare, quando un padre va in pensione, tutti gli equilibri familiari faticosamente raggiunti in anni di compromessi rischiano di saltare come tappi di spumante di pessima qualità (ché quello buono un pensionato medio non se lo può permettere).

E’ vero però che non tutti i padri vivono l’avvicinarsi del grande momento allo stesso modo.
Ci sono quelli che hanno passato gli ultimi dieci-venti anni della propria vita a contare i mesi, i giorni, i minuti e i secondi che li separano dal meritato riposo.
Sono quelli che non sopportano nulla del loro lavoro. Lo vivono come una prigionia.
Passano tutto il tempo a progettare minuziosamente cosa faranno una volta che riprenderanno possesso della propria vita. Organizzano viaggi immaginari in luoghi esotici, spesso in compagna della moglie, molto più spesso in compagnia di quella segretaria del primo piano, giovane e carina, che non hanno nemmeno il coraggio di invitare a prendere un caffè.
Sono quelli che finiscono immancabilmente a leggere il giornale su una panchina della piazzetta sottocasa, prima di andare a comprare il pane o accompagnare la dolce metà dal parrucchiere.

Ci sono, poi, quelli che hanno vissuto tutta la loro vita per il lavoro. Entrano in ufficio la mattina presto, ne escono a notte ormai fonda, tutti tesi a raggiungere le uniche cose che contano: soldi e carriera. Loro della segretaria del primo piano son già stufi. Altro che portarsela in vacanza, cercano piuttosto un modo per liberarsene senza che pianti eccessive grane.
Sono padri che hanno già pianificato tutta la propria vita post-pensione. Hanno preso accordi con ditte cui fare da consulenti, con uffici di cui supervisionare la parte organizzativa, con fiorai presso i quali fare i fattorini a nero.
Questi sono i padri migliori: praticamente invisibili ai familiari dopo la pensione esattamente come lo erano prima.

E poi ci sono i tipi peggiori.
Sono una via di mezzo delle due categorie precedenti.
Odiano il proprio lavoro, ma vivono per esso. Non sopportano, cordialmente ricambiati, nessun collega, nessun superiore, nessun sottoposto, nessuna segretaria. Epperò non riuscirebbero a starne lontani. Vivono il momento del distacco come un trauma. Sono assaliti da veri e propri attacchi di panico.

Se avete un padre come questo, è necessario arrivare all’appuntamento con il gran giorno ben preparati.
E’ pensando a loro (ed a voi che ve li ritrovate in casa) che ho deciso di redigere questo agile manualetto di consigli di sopravvivenza.

Punto primo: non nominate mai la parola “pensione” invano. Al solo sentirla pronunciare, Lui rischia di esplodere in reazioni incontrollate, che possono andare dal pianto a dirotto, alla furia più cieca.
Esempio tipico di discussione con familiare poco accorto:

– pensione? Ho sentito bene? Chi ha detto “pensione”?
– No, papà, stavamo parlando del babbo di una mia amica.
– Ah, ecco, perché io sono troppo giovane per la pensione! Figurarsi se devo pensare alla pensione io!
– Beh, papà, in fondo ha 68 anni e 50 di servizio…
– E allora? Stai dicendo che sono vecchio? Ma guarda che figli che mi ritrovo, mi danno del vecchio! Vecchio a me! E’ proprio vero, non c’è più rispetto! Eh, ma ai miei tempi… (ad lib.).

Punto secondo: istituite delle riunioni segrete, in un posto che il padre non potrà mai scoprire, tipo la cucina (appena dopo i pasti, mi raccomando, altrimenti rischiate di trovarvelo nascosto nel frigorifero) o nella zona lavatrice, e date il via ad un brain storming.
La cosa più importante in queste situazioni è, infatti, trovare con largo anticipo un hobby che lo terrà lontano da casa il più possibile.
Non perché non gli volete bene, è chiaro, solo che questo esemplare è estremamente pericoloso per la salute mentale della moglie. La quale assaggia ogni santa domenica quello che l’aspetta quando se lo ritroverà fisso in casa. Questo tipo di padre è infatti di quelli che non muovono un dito nei lavori domestici, ma passano tutto il tempo alle costole della povera consorte che lava, spolvera, pulisce, indicando dove dare un’altra passata e rimproverandola per la scarsa perizia dimostrata.
E’ chiaro che una qualunque madre, per quanto paziente, non potrebbe sopportare per più di un paio di giorni una simile situazione.
Per questo è necessario portarle il marito lontano dai piedi.
Il problema è che un padre del genere è convinto di saper già fare tutto. E’ inutile proporgli corsi di fotografia, falegnameria, cucina, idraulica, disegno e qualunque altra cosa vi possa venire in mente. Vi risponderà che sono tutti inutili e che anzi lui potrebbe dare facilmente lezioni agli altri.
 
L’unico modo per cavarne le gambe, è giocare d’astuzia.

Ed ecco quindi il terzo consiglio: siate subdolamente falsi. Mai come in questo caso il fine giustifica i mezzi.
Basta pensarci un attimo, qual è la principale molla che spinge questo tipo di padre nella propria vita di relazione? Ma è molto semplice, lo spirito di competizione!
Bene, fategli credere che ammirate il padre di un vostro amico o un suo conoscente, meglio se notoriamente cretino, per una qualche abilità che lui non possiede, un’attività che non ha mai nemmeno sentito nominare.
Vedrete che non vorrà essere da meno.
Esempio di discorso falso e subdolo:

– certo maia, hai visto il Pingi come è bravo a fare l’ikebana? E dire che sembrava tanto deficiente, ma evidentemente ci stava solo pigliando per i fondelli. Uno così bravo a fare ikebana non può che essere un genio.
– Il Pingi? Ma che dite, quel cretino? Ma se è un minorato psichico!
– Sarà, ma intanto fa un’ikebana…
– Ma lo so fare anche io l’ikebana! E meglio! Mille volte meglio!
– Scusa papà, ma tu nemmeno sai cos’è…
– Vabbè, qualunque cosa sia, io lo faccio meglio!
– Sarà… (con subdola alzata di sopracciglio e sorriso beffardo)
– Come osate mettere in dubbio…
– Papà, non ti alterare. Quella dell’ikebana è un’arte antica, che richiede anni di studio, applicazione costante e una mente brillante. Il Pingi evidentemente ce l’ha…
– Ma tu guarda queste! Ma sentile…… ora vi faccio vedere io! Datemi l’elenco del telefono!

Quarto consiglio: vedete di trovarvi molto, molto lontano quando vostro padre si renderà conto di aver sborsato un mucchio di soldi per delle costosissime lezioni su come disporre i fiori.

delirio vano è questo!

di maia, 10 Maggio 2007

– Buon giorno, telecom, sono Simona, come posso esserle utile?

– Buon giorno, sono la sorella di maiab, vorrei installare nel mio ufficio il pacchetto base adsl + telefono.

– Benissimo. può farlo su internet.

– Ehm… mi scusi, forse non ha capito, io la connessione la vorrei acquistare, ora.

– Benissimo. va su internet, sceglie il pacchetto che preferisce e lo sottoscrive.

– Si, questo lo potrei fare se già avessi una linea internet attiva. Ma non ce l’ho. E’ per questo che sto chiamando!

– Beh, e dove sta il problema? Lei adesso va su internet, sottoscrive l’abbonamento che preferisce, poi si collega e se ha problemi mi richiama!

– …

Senta, e se mi abbonassi a quello full optional?

– Ma certo! Ottima scelta! Allora mi dia nome e cognome, codice fiscale…

Postato in a lavoro | Commenta 

innocenti evasioni

di maia, 17 Aprile 2007

nov28_09.jpg

Se stasera sono qui e vi posso parlare, è perché sono evasa dall’archivio.
L’archivio del mio ufficio intendo.
Lo studio in cui lavoro è infatti una palazzina di tre piani divisa in piccoli ambienti carini, ordinati, con scaffalature che prendono tutta la parete, dal pavimento al soffitto, altissimo.
I raccoglitori colorati che le riempiono, formano gradevolissimi accostamenti cromatici: una parete è tutta blu, una tutta celeste, una viola, una rossa e così via, fino a ricoprire l’intero iride.
Quando si guarda una qualsiasi stanza del mio ufficio, non si può non essere assaliti da un senso di allegra efficienza (sempre che ci si stia pochi minuti, ché altrimenti… vabbè, questa è un’altra storia).

Dicevo. L’ufficio è proprio carino. Dal piano terra in su.
Nel sottosuolo c’è l’archivio.
Si chiama archivio, lì da noi, un insieme di stanzette, basse, umide e buie, piene di ragnatele, muffe variopinte, animaletti che divorano la carta e chissà cos’altro. Una volta una collega ci ha trovato anche un gatto. Il che fa presumere che ci fosse anche qualche topo da inseguire…
Nessuna di noi ha voglia di indagare. Quando ci sono documenti vecchi da recuperare, facciamo la conta per stabilire chi sarà la sfortunata a dover scendere.
Io finora me l’ero cavata, sono bravissima a barare nelle conte. Ma questa volta una collega più sveglia delle altre ha voluto a tutti i costi contare lei. E mi ha fregata.
Ho provato a piagnucolare un po’, adducendo scuse varie (soffro di allergia alla polvere, al buio, al chiuso, alle scale) ma non è servito a niente… Così mi è toccato scendere.

Trovare l’interruttore è stata impresa ardua. Prima di individuarlo, ho carezzato roba viscida ed umidiccia, della quale non ho voluto appurare la natura.
Finalmente la luce!
Mi guardo intorno e vedo roba ammucchiata in ogni angolo, così malridotta dall’umidità e dall’incuria (e vagamente odorante di urina di gatto), da essere ormai quasi irriconoscibile. Traccheggio alquanto prima di avvicinarmici; pur di non toccarla, fingo di interessarmi alle pareti, dalle quali mi tengo comunque alla larga, osservo le belle geometrie delle ragnatele più grosse, fischietto…

Ho fame. Per forza, è l’ora di pranzo! Sento le colleghe che si preparano a tornare a casa (avete presente quell’infernale rumore di sedie strusciate che si ha in una classe scolastica all’ora della ricreazione? Ecco, qualcosa di molto simile, nonostante in ufficio abbiamo le poltroncine con le rotelline). Mi dico che è ora di tornare su, profondamente dispiaciuta per non essere riuscita nemmeno ad iniziare la ricerca, e mi dirigo verso la porticina in cima alle scale. Ma è chiusa!
Si è richiusa!
Ehi, sono qui! Non ve ne andate, sono chiusa qui dentro!
Ehi! Ehi? C’è nessuno? Già andate via?
C’è nessunoooooooooooooooooooo!

No, non c’è più nessuno.
Bene, basta rimanere calmi.
E si trova la soluzione.
Ci deve essere per forza una soluzione!
Dio, ho fame…

Va bene, calma…
Dunque, le pareti sono spesse e non mi sente nessuno.
La porta è pesante e di sfondarla non se ne parla proprio. Arnesi per forzare la serratura non ce ne sono…
Senti lì lo stomaco…

Ok, è tutto a posto, va tutto bene, ora succede qualcosa che mi restituirà la libertà. E’ sicuro. Basta che mi sieda su questi scalini e qualcosa succede. Dio cos’è questo rumore? Ah, è ancora il mio stomaco…
Ma quanto ci mettono a tornare?
E io che faccio?
Allora, posso contare i ragni. Uno, due… no quella è una mosca intrappolata.
Dunque uno…
Uff, non si respira.
Ed ho fame!
Guarda com’è grassa quella mosca! Certo che è proprio bella grossa. Chissà quanta ciccia c’ha.
Garrisca al vento il labaro viola…
Chissà che sapore ha una mosca?

Rumori?
Sì, rumori!
Ehi?
Ehi!
Ehi, sono qui!
Sono qui, mi sentiteeeeeeeee?
Niente…
Mah, ora che rientrano le colleghe del mio piano, si accorgeranno della mia assenza. Cavolo, almeno le mie compagne di stanza!
Dunque, che ore sono?
Le cinque?
Ma non si accorge nessuno che non ci sono?
Ehi, dico, che fate, ve ne andate?
Ehi! Cos’è questo rumore?
Magari è un altro topo. Vieni bellino, vieni dalla mamma, che ti faccio vedere dov’è finito il tuo fratellino…
Ma… ma è un gatto!
Micio?
Micio!
Micio, vieni qui, cribbio, non lo senti che ti sto chiamando?
Che fai, hai paura?
Ma non devi, sono buona, non si vede?
Fermo!
Dove vai?
Torna qui, guarda che ti piglio, non ti infilare in quel buco, che non ci passo, aspetta!
Acc, sono rimasta incastrata…
Almeno si respira.
E vedo, vedo delle luci.
Che sono? Stelle?
Ma che ore sono?
Dio, un piccolo sforzo…

E così sono riuscita ad evadere. Sono tutta sgraffiata, ammaccata, sporca, con un terribile sapore di topo in bocca e con una nuova consapevolezza: le mosche non son buone da mangiare.
Ma sono fuori! Grazie a un gatto, il migliore amico dell’uomo.
Qualche volta.

ancora a lavoro…

di maia, 3 Aprile 2007

Sono qui, sconfortata, a cercar di far capire alla mia assistente come si controllano i dm10.
Il compito è improbo.
Ho voglia di arrendermi, ma non posso. Fra poco mi assenterò per ben tre mesi e devo insegnare quanto più posso a chi mi sostituirà.

– Allora, cara, hai capito? Basta prendere l’imponibile previdenziale, moltiplicarlo per l’aliquota contributiva di riferimento e dal risultato sottrarre eventuali assegni familiari, maternità, malattie…
Tutto chiaro?

– No!

– Beh, certo, non hai mai fatto questo lavoro, partire dal nulla non è semplice, ma questo è davvero intuitivo, vedi?
Basta prendere il totale lordo imponibile. E’ quello che si è guadagnato in tutto il mese. Lo moltiplichi per questa percentuale qui. E si ottiene quello che la ditta deve pagare all’INPS.
Capito?

– No!

– Bene, cara, allora… vedi questo numero? Lo devi moltiplicare per quest’altro qui accanto, vedi? Hai capito?

– No!

– Bene… senti, dimmi quello che non ti torna, cerco di rispiegartelo.

– Non ho capito niente!

– Bene…
Pausa caffè?

– Si, ho proprio voglia di caffè!

Io invece ho voglia di picchiarla.
Ma mi trattengo.
E’ la figlia del capo…

Postato in a lavoro | Commenta 

« Pagina precedentePagina successiva »