lettera al direttore
Camminando per la strada ho casualmente visto un foglio fittamente scritto abbandonato per terra. Incuriosita, l’ho raccolto e ho cominciato a leggere. Era una lettera.
A quanto pare il famoso il Direttore cui era rivolta non ha ritenuto di doverla pubblicare.
Quindi ho colto la palla al balzo ed ho deciso di farlo io.
Del resto, come detto in altre occasioni e per ben altri e più alti scopi, io non mi tiro certo indietro quando c’è da far sentire una voce che altrimenti rimarrebbe silenziosa.
E se anche i lettori che passano da queste parti sono pochi, sono comunque buoni. Quasi tutti.
Buona lettura.
Caro direttore, la ringrazio dell’opportunità che mi dà di rispondere a Mila Spicola. Le scrivo perché la pur coraggiosa lettera con la quale la signora ha denunciato il nuovo tipo di discriminazione sessuale che affligge la società contemporanea, ha taciuto un aspetto fondamentale del problema. Aspetto altrettanto importante di quello da lei così ben sviscerato nella lettera a Repubblica. Mi riferisco al problema della V°.
Ebbene sì, in questa società infantile, completamente in balia di uomini-adolescenti continuamente preda dei propri ormoni, non solo le donne dal bel fondoschiena hanno vita dura. Che dire infatti di tutte le tettone? Mi riferisco ovviamente a quelle che si ritrovano il seno grosso per natura e non a quelle rifatte, che, fra parentesi, se vengono discriminate, in fondo se la son cercata.
Direttore, ma lo sa lei che vuol dire girare per le strade portandosi addosso una quinta di seno? Beh, glielo dico io. Pensa che a qualcuno importi della mia maturità scientifica? O del mio diploma come istruttrice di nuoto? O delle mie specializzazioni in storia del crawl e storia della pallanuoto?
No, caro Direttore! Tutti gli uomini con cui cerco di intavolare una discussione, già dopo la prima mezzora smettono di ascoltare le mie disquisizioni sullo sviluppo della fase di recupero nella bracciata a stile libero o sull’evoluzione delle entrate in attacco per, nel migliore dei casi, prendere a fissarmi insistentemente i capezzoli che si intravedono dalla mia scollatura! Nel peggiore dei casi si addormentano.
Direttore, non mi faccio illusioni, so bene che anche lei a questo punto starà solo pensando a mettermi le mani sulle tette! Perché non c’è scampo, siete tutti uguali!
Del resto siamo circondati. Ovunque ti giri, vedi donne bellissime, seminude, che offrono i loro corpi agli sguardi vogliosi di maschi-bambini, convinti che sia loro tutto concesso. Con il risultato che non posso più nemmeno girare per certi quartieri di notte con le mie magliette attillate. Vedesse che reazioni!
Per lo meno quelle ragazze che si denudano in televisione o sui calendari ci guadagnano qualcosa!
E a me che ne viene?
Solo l’umiliazione quotidiana di non sentirmi sufficientemente apprezzata per la mia indubbia intelligenza e ironia e cultura.
Per non parlare del mal di schiena!
Quali soluzioni?
Io non ne vedo, purtroppo.
Temo dovrò arrendermi al triste destino di sentir volare intorno, al mio solo apparire, il tristissimo: “Minchia, che tette!”
Ps alla redazione di Otto e mezzo (e a tutte le altre eventualmente interessate) volevo far presente che se volesse mettere in onda una puntata di approfondimento su questo tema, io sono disponibilissima e che ho un vantaggio enorme nei confronti della mia collega Spicola. Il mio problema, a differenza del suo, è facilmente inquadrabile e potrebbe essere agevolmente mostrato a favor di telecamera.
A vostra disposizione
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